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Thomas Clement Salomon nuovo direttore Gallerie Nazionali Arte Antica

Thomas Clement Salomon nuovo direttore Gallerie Nazionali Arte AnticaRoma, 15 gen. (askanews) – Thomas Clement Salomon si è insediato come nuovo direttore delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, che comprendono Palazzo Barberini e Galleria Corsini a Roma.

“Sono onorato e felice di iniziare ufficialmente a lavorare per le Gallerie Nazionali di Arte Antica. Abbiamo in animo di realizzare progetti estremamente ambiziosi. Sarà una sfida esaltante”, ha dichiarato in un comunicato. Thomas Clement Salomon è storico dell’arte, giurista, museologo, responsabile scientifico di progetti espositivi in Italia e all’estero, manager di eventi culturali, precedentemente consulente Progetti Direzione alla Galleria Borghese di Roma e direttore scientifico del Gruppo MoMo-Skira.

A Roma la retrospettiva su Antonio Donghi “La Magia del Silenzio”

A Roma la retrospettiva su Antonio Donghi “La Magia del Silenzio”Roma, 13 gen. (askanews) – Antonio Donghi fu uno dei maggiori interpreti del Realismo magico in Italia. A questo straordinario artista dal 9 febbraio al 26 maggio 2024 Palazzo Merulana a Roma dedica la retrospettiva “Antonio Donghi. La magia del silenzio”, che permetterà ai visitatori di conoscere e ammirare una serie di autentici capolavori, alcuni esposti al pubblico per la prima volta.

La mostra è stata realizzata grazie al sostegno del Main Sponsor UniCredit, che ha anche contribuito con sedici importanti prestiti delle opere di Donghi, provenienti dalla straordinaria collezione esposta a Palazzo De Carolis, sede di rappresentanza del gruppo bancario a Roma, ed è prodotta da CoopCulture. Sono raccolte trentaquattro opere, prevalentemente acquistate direttamente alle maggiori mostre del tempo (Biennali di Venezia, Quadriennali di Roma, ecc.) o altrimenti reperite sul mercato. Il progetto espositivo intende presentare i nuclei più significativi provenienti dalla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Roma, dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, dalla Banca d’Italia, dalla UniCredit Art Collection e dalla Fondazione Elena e Claudio Cerasi, che nel loro insieme rappresentano l’intero percorso dell’artista, toccandone tutti i temi principali: paesaggi, nature morte, ritratti, figure in interni ed esterni, personaggi del circo e dell’avanspettacolo. In particolare, la mostra si pone come approfondimento di uno dei principali nuclei pittorici rappresentati nella Fondazione Elena e Claudio Cerasi, che possiede ed espone in permanenza tre fondamentali capolavori donghiani: Le lavandaie (1922-23), primo vertice in assoluto del maestro; Gita in barca (1934); Piccoli saltimbanchi (1938). Solo tre dipinti particolarmente iconici (La Pollarola, Ritratto di Lauro De Bosis, Annunciata), legati in diverso modo alla collezione Cerasi, sono inseriti al di fuori del nucleo delle collezioni pubbliche.

Sulla trama delle opere di Donghi in queste collezioni è possibile ricostruire interamente il suo percorso artistico. Rimeditare il ruolo, il metodo, le aspirazioni di questo artista chiuso e difficile, ma al tempo stesso creatore di opere uniche e impressionanti per il loro clima sospeso, per la densità di interrogativi che pone allo spettatore, pur nell’apparentemente nuda realtà in cui sono presentati gli anonimi protagonisti dei quadri, appare oggi un doveroso passo in avanti per la sua conoscenza. La curatela della retrospettiva è affidata al prof. Fabio Benzi, che proprio per lo stesso museo aveva curato nel 2019 la mostra-studio “Giacomo Balla, dal Futurismo astratto al Futurismo iconico”.

Antonio Donghi, nato a Roma nel 1897, appartiene alla generazione appena troppo giovane per aver vissuto e condiviso le istanze moderniste delle Secessioni romane come della prima fase del Futurismo, che si colloca con la sua maturità negli anni del primissimo dopoguerra: cioè a contatto con le istanze del “ritorno all’ordine”. Contribuì allo sviluppo di quell’ottica di riscoperta di radici tradizionali, piuttosto che percorrere una strada di decostruzione formale avanguardistica. Nonostante ciò, la sua tecnica particolare riuscì a enucleare una visione largamente condivisa in ambito romano e italiano, portandola a risultati di grande altezza ed espressività, pur non essendo tra i fondatori o i teorici di tale ottica. La mostra – che ha il sostegno della Regione Lazio e il patrocinio gratuito di Roma Capitale – è inclusa nel biglietto di ingresso di Palazzo Merulana, che comprende la visita alla Collezione Cerasi. Aperta al pubblico dal mercoledì alla domenica dalle 12 alle 20.

Goya e Caravaggio per la prima volta assieme ai Musei Capitolini

Goya e Caravaggio per la prima volta assieme ai Musei CapitoliniRoma, 12 gen. (askanews) – Torna a Roma, ai Musei Capitolini, dopo ventitré anni dalla sua unica apparizione nella capitale (Galleria Nazionale d’Arte Antica, 18 marzo – 18 giugno 2000) il “Parasole” di Francisco Goya, capolavoro giovanile del maestro spagnolo (1777), che sarà esposto dal 12 gennaio al 25 febbraio 2024 nella Pinacoteca Capitolina.

L’arrivo della tela è frutto della politica culturale di scambi di opere d’arte avviata già da tempo dalla Sovrintendenza Capitolina con importanti istituzioni museali italiane e internazionali. Il museo prestatore è il Museo Nazionale del Prado che ha concesso il dipinto di Goya come controprestito de “L’Anima Beata” di Guido Reni, in occasione della mostra “Guido Reni” (Museo Nazionale del Prado, 28 marzo – 9 luglio 2023). Il “Parasole” di Goya (cm 104×152) sarà ospitato nella Sala Santa Petronilla della Pinacoteca Capitolina e posizionato a fianco alla “Buona Ventura” di Caravaggio (1597), con l’intento di arricchire il percorso di visita e offrire al pubblico nuovi spunti di riflessione sui grandi temi della storia dell’arte.

Il progetto espositivo, dal titolo “Goya e Caravaggio: verità e ribellione”, intende mettere in risalto come i due grandi artisti si fecero magistrali interpreti della società del loro tempo e come l’abbiano descritta, introducendo nel loro linguaggio figurativo rivoluzionarie novità iconografiche e stilistiche. Tante le analogie: entrambe le tele appartengono alla loro attività giovanile, in entrambe i protagonisti sono una donna e un uomo, entrambe descrivono con “verità” una scena di vita quotidiana della società contemporanea e, infine, entrambe rivelano quei sintomi di “ribellione” nei confronti dei condizionamenti iconografici e stilistici imposti dalle consuetudini e regole accademiche del loro tempo.

Un confronto ardito tra due opere tanto lontane nello stile e nel tempo – sono distanti circa 180 anni – ma che annunciano ciascuna il passaggio verso una nuova epoca: se Caravaggio può essere considerato il primo pittore moderno, Goya fu invece il primo dei “romantici” e colui che aprì la strada verso l’arte contemporanea. L’iniziativa “Goya e Caravaggio: verità e ribellione” è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e gli apparati didattici sono a cura di Federica Papi e Chiara Smeraldi. Organizzazione di Zètema Progetto Cultura.

“El Quitasol”, titolo spagnolo del dipinto, è uno dei cartoni preparatori realizzati da Goya per il ciclo di arazzi destinati a decorare la sala da pranzo del Palazzo del Pardo a Madrid, la residenza di caccia dei principi delle Asturie: il futuro re Carlo IV e sua moglie Maria Luisa di Parma. Il bozzetto fu consegnato da Goya alla Real Fábrica de Santa Bárbara il 12 agosto 1777 ed è così descritto dallo stesso artista nella ricevuta di consegna: “rappresenta una ragazza seduta su una riva, con un cagnolino e con un ragazzo al suo fianco che le fa ombra con un parasole”. Alla semplicità del soggetto fa riscontro l’assoluta libertà dell’invenzione, non più temi di caccia o composizioni allegoriche come voleva la tradizione nordica fiamminga, ma scene e figure ispirate al mondo reale e alla società contemporanea spagnola. La giovane donna protetta dall’ombrellino, oggetto di gran moda nel XVIII secolo, è infatti una maja, cioè una donna del popolo, che indossa un elegante e sfarzoso abito di foggia francese come avveniva in Spagna nei giorni di festa. La donna si mostra in tutta la sua bellezza al giovane majo vestito con il tipico abbigliamento madrileno e al pubblico a cui sembra rivolgere un civettuolo sguardo. Tutto contribuisce a rendere la scena un gioco di seduzione: i colori sgargianti delle vesti di lei, il cagnolino accucciato sul suo grembo, il sottile gioco di luci e ombre che il parasole crea sul volto della fanciulla. Luci e colori sono senza dubbio i principali protagonisti del dipinto e rivelano la conoscenza di Goya della pittura antica, in particolare di quella rinascimentale veneziana, ma non solo. Se l’influenza di Tiepolo e della pittura francese appare evidente nell’ariosità del dipinto, l’interpretazione profondamente realistica, il tema della seduzione, la tecnica pittorica con il colore steso direttamente sulla tela con la preparazione lasciata a tratti a vista, così come gli effetti di luce ottenuti con il bianco di piombo e il vivace gioco degli sguardi farebbero quasi pensare che l’occhio del maestro spagnolo si sia poggiato per un attimo anche sulla Buona Ventura di Caravaggio quando circa sei anni prima (1770-1771) venne in Italia e risiedette a Roma, dove frequentò la Scuola del Nudo in Campidoglio nella cui celebre Galleria la Buona Ventura già vi era conservata.

”Una risata allunga la vita?”, lezioni di Cabaret tedesco a Roma

”Una risata allunga la vita?”, lezioni di Cabaret tedesco a RomaRoma, 9 gen. (askanews) – Il sodalizio dell’attore e regista Bruno Maccallini, attivo soprattutto in Germania dove gode di una vasta popolarità, con la studiosa Antonella Ottai esperta di Cabaret tedesco degli anni ’20-’30, si consolida nel laboratorio teatrale “Una risata allunga la vita?”, articolato progetto didattico-performativo che trae spunto dalla scena comica di Weimar, a partire dai tempi prosperi a quelli più critici, fino al punto di non ritorno, quando molti artisti dello spettacolo leggero vanno incontro alla deportazione e allo sterminio, o per ragioni razziali (erano in gran parte ebrei) o per motivi politici, senza per questo smettere di esibirsi nei lager in cui erano confinati.

A margine del laboratorio teatrale, il 22 Febbraio 2024 presso il Goethe-Institut-Rom di Via Savoia con lo spettacolo “Stasera ho deciso a venirmi a trovare” di Bruno Maccallini e Antonella Ottai, prenderà il via anche il Ciclo Kabarett Weimar, dedicato appunto al Cabaret tedesco degli anni Trenta. Agli allievi del Laboratorio verrà offerta la possibilità di seguire non solo le prove e l’allestimento di questo spettacolo ma anche quelle di altri due lavori di Maccallini e Ottai: “Grotesk! Ridere rende liberi” e la novità assoluta “Diva – una sinfonia per Weimar”, quest’ultimo in scena, sempre all’Auditorium di Via Savoia, il 29 Febbraio.

L’intero Ciclo sarà successivamente riproposto al Teatro Vascello nei giorni 22-23-24 Aprile 2024 Il laboratorio è aperto a tutti e senza limiti d’età, con attestato utile per crediti fomativi universitari per gli studenti interessati.

Partecipano alle lezioni gli artisti Pietro De Silva, Patrizia Loreti, Dodo Gagliarde, Chiara Bonome, Pino Cangialosi, Roberto Della Casa, Pierpaolo Palladino e docenti di Spettacolo delle Università romane. La risata, un’arma spuntata, una colpevole elusione, una risorsa per salvarsi la pelle a costo di degradare la propria dignità artistica? È questa la domanda che investe il laboratorio, a cui prenderanno parte numerosi docenti e artisti, prima di trovare il suo racconto, o meglio la sua parabola, in un saggio finale che lo concluderà insieme a due Master Class affidate a Massimo Wertmüller ed Elena Bucci. Il corso complessivo prevede 36 ore di lavoro con gli insegnanti nel periodo da Febbraio ad Aprile 2024 presso la Sede del Goethe-Institut-Rom; 25 ore tra esercitazioni e prove in gruppi di non più di 10-15 allievi; 2 ingressi liberi per due Master Class al Teatro Vascello e ingressi liberi a tutti gli spettacoli in programma (maggiori info su www.unarisatalab.com).

Dal Futurismo ai fumetti e al cinema, mostre prorogate alla Vaccheria

Dal Futurismo ai fumetti e al cinema, mostre prorogate alla VaccheriaRoma, 9 gen. (askanews) – Il Municipio IX Roma Eur ha annunciato la proroga delle tre mostre attualmente ospitate all’interno della Vaccheria, lo spazio espositivo di Roma Capitale nato dalla convenzione urbanistica “Eur – Castellaccio” e collocato nel paesaggio urbano contemporaneo dell’Eur.

I visitatori avranno tempo fino al 31 marzo per ammirare le opere dei più grandi artisti del ‘900 presentate nel progetto espositivo “Dal Futurismo all’Arte Virtuale”, a cura di Giuliano Gasparotti e Francesco Mazzei; mentre, fino al 31 gennaio prossimo, avranno la possibilità di scoprire da vicino i segreti dell’arte fumettistica e del disegno applicato al cinema, grazie alle due mostre “L’arte nei fumetti di Massimo Fecchi” e “Il cinema dipinto: l’arte nei manifesti di Rodolfo Valcarenghi”. Inoltre, il 13 gennaio alle 16, in programma il terzo e ultimo appuntamento con Massimo Fecchi e le sue lectio magistralis. Dopo il successo dei primi due appuntamenti, il disegnatore incontrerà ancora una volta il pubblico della Vaccheria per raccontare come nascono i suoi fumetti.

Provenienti da due Collezioni private e raccolte per l’occasione dalla Collezione Rosini Gutman a cura di Gianfranco Rosini ed Elisabetta Cuchetti, la mostra Dal Futurismo all’arte virtuale mette assieme alcuni grandi capolavori dell’arte del secolo scorso in un percorso espositivo che dalle avanguardie più riconosciute arriva direttamente ai giorni nostri. Concentrata in quattro “capsule” differenziate ovvero quattro “set” a tema, l’esposizione è pensata per dare protagonismo allo spettatore, chiamato a immergersi in ambientazioni oniriche con installazioni contemporanee di arte digitale per scoprire da vicino la carica rivoluzionaria di artisti del calibro di Balla e Calder, Modigliani e Duchamp, Burri e Rauschenberg, oltre a Dalì, Manzoni, Fontana, Boetti, Klein, Liechtenstein, Vasarely, Beuys, Warhol, Niki de Sainte Phalle, de Chirico e molti altri. Nell’esposizione principale L’arte nei fumetti di Massimo Fecchi, sono presentate circa 100 tavole realizzate da questo autore conosciuto e apprezzato in tutto il mondo per i suoi trascorsi come disegnatore della Warner Bros, per la quale realizza negli anni ’70 raffigurazioni di mitici personaggi come Tom & Jerry e Bugs Bunny, ma soprattutto per la sua collaborazione con la Disney, iniziata nel 1997 tramite la casa editrice danese Egmont, per cui disegna storie con protagonisti Paperino, Topolino, il Lupo cattivo e i Tre porcellini.

Parallelamente, nell’esposizione Il cinema dipinto: l’arte nei manifesti di Rodolfo Valcarenghi, si possono apprezzare alcuni manifesti cinematografici realizzati dall’artista romano negli anni ’50, in un’epoca in cui questi venivano dipinti a mano (Riso amaro, Crimen, I diavoli alati, I compagni, L’uomo dalla cravatta di cuoio, Uno strano tipo, Attila, I figli della gloria, I pionieri del west), oltre ai suoi lavori come inchiostratore di fumetti iniziato alla fine degli anni ’60 nello studio di Alberto Giolitti e proseguito poi negli anni ’80 al fianco proprio di Massimo Fecchi.

Colosseo, scoperta nuova domus tra Foro Romano e Palatino

Colosseo, scoperta nuova domus tra Foro Romano e PalatinoRoma, 12 dic. (askanews) – Il Parco archeologico del Colosseo, nell’ambito di un progetto di studio e ricerca, ha riportato alla luce alcuni ambienti di una lussuosa domus di età tardo-repubblicana, di cui erano state scavate alcune strutture murarie nel 2018, e un tempo esistente esattamente nell’area in cui, in età augustea, vennero costruiti gli Horrea Agrippiana, i celebri magazzini lungo il vicus Tuscus (strada commerciale che collegava il porto fluviale sul Tevere e il Foro Romano) costruiti dal genero di Augusto, Marco Vipsanio Agrippa.

Dietro gli Horrea, tra i magazzini e le pendici del colle Palatino la domus si sviluppa su più piani, probabilmente articolata a terrazze e caratterizzata da almeno tre fasi edilizie, databili tra la seconda metà del II secolo a.C. e la fine del I secolo a.C.. Distribuita intorno a un atrio/giardino, la domus presenta, quale ambiente principale, lo specus aestivus, una sala per banchetti che imita una grotta, utilizzata durante la stagione estiva e originariamente animata da spettacolari giochi d’acqua grazie al passaggio di alcune fistule (tubi) in piombo fra le pareti decorate. A rendere eccezionale la scoperta – informa il Mic – è il rinvenimento, in questo ambiente, di uno straordinario rivestimento parietale in mosaico cosiddetto “rustico”, che, per complessità delle scene raffigurate e per cronologia, è privo di confronti. Costituito da conchiglie di diverso tipo, tessere di blu egizio, preziosi vetri, scaglie minute di marmo bianco o di altri tipi di pietre, tartari (ovvero frammenti di travertino spugnoso) e cretoni di pozzolana legati da malta e orditi, il mosaico, che si data agli ultimi decenni del II secolo a.C., presenta una sequenza complessa di scene figurate.

Nelle quattro edicole, definite da lesene e decorate con vasi da cui fuoriescono tralci di foglie di loto e di vite, sono raffigurate cataste di armi con trombe di tipo celtico (carnyx), prue di navi con tridente, timoni con triremi che alludono, forse, a un duplice trionfo, terrestre e navale, del proprietario della domus. La grande lunetta soprastante presenta, inoltre, un’affascinante raffigurazione di paesaggio con, al centro, una città, con scogliera simulata con i tartari di travertino, affacciata sul mare solcato da tre grandi navi di cui una con vele sollevate; una cinta muraria con piccole torri circonda la città dotata di portici, porte e di un grande edificio pubblico; su uno dei lati una scena pastorale. La rappresentazione di una città costiera potrebbe alludere a una conquista bellica da parte del proprietario della domus, appartenente a un personaggio aristocratico, presumibilmente di rango senatorio. In una stanza di rappresentanza attigua, peraltro, l’accurato lavoro di restauro ha riportato alla luce un rivestimento in stucco bianco con paesaggi entro finte architetture e figure di altissima qualità. “La scoperta di una nuova domus con un ambiente decorato da un mosaico davvero straordinario rappresenta un risultato importante che dimostra, ancora una volta, quanto il Parco archeologico del Colosseo e il Ministero della Cultura siano costantemente impegnati nel promuovere la ricerca, la conoscenza, la tutela e la valorizzazione del nostro straordinario patrimonio culturale. Il rinvenimento ha poi un importante valore scientifico che rende la domus ancor più rilevante. Dopo la riapertura della Domus Tiberiana e il miglioramento dell’accessibilità dell’Anfiteatro Flavio, con l’inaugurazione dell’ascensore che ora arriva al terzo ordine, il cuore della romanità ha disvelato quindi un autentico tesoro, che sarà nostra cura salvaguardare e rendere fruibile al pubblico”, dichiara il Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano.

“Si tratta di un importante risultato – aggiunge il Direttore del Parco archeologico del Colosseo, Alfonsina Russo – che ripaga un lungo lavoro di studio e di ricerca e che rientra in uno degli obiettivi prioritari del Parco, quello della conoscenza e della sua diffusione. Lo scavo archeologico si concluderà nei primi mesi del 2024 e successivamente lavoreremo intensamente per rendere al più presto accessibile al pubblico questo luogo, tra i più suggestivi di Roma antica”. Nel suo insieme, la domus si qualifica, dunque, come residenza in cui si ritrova precocemente espressa quella luxuria asiatica che per tutto la tarda età repubblicana fu motivo di polemica e feroce lotta politica tra le fazioni aristocratiche e che conferma quanto dicono le fonti sulla presenza, con estese residenze, di esponenti di grandi famiglie senatorie romane nell’area nord-occidentale del Palatino.

Una scoperta straordinaria che riporta alla luce un autentico gioiello che a conclusione degli scavi e dei restauri si va ad aggiungere ai nuovi e diversificati percorsi di visita aperti negli ultimi anni e che compongono la variegata proposta culturale del Parco archeologico del Colosseo.

Le Korai di Mattia Bosco al Parco archeologico del Colosseo

Le Korai di Mattia Bosco al Parco archeologico del ColosseoRoma, 11 dic. (askanews) – Antico e contemporaneo dialogano e si intrecciano, senza perdere le rispettive identità, ma con un esito armonico. La mostra “Korai” ha portato negli spazi del Tempio di Venere e Roma, nel Parco archeologico del Colosseo, le sculture di Mattia Bosco, che ha dato una forma nuova all’idea stessa della rappresentazione della figura femminile. Il curatore della mostra, Daniele Fortuna: “Nella loro serialità, nel loro essere simili dal punto di vista formale – ha detto ad askanews – sono tutte completamente diverse, perché è proprio la materia che le rende uniche. E infatti nessun’altra di queste sculture potrà avere le stesse venature del marmo, e si tratta di marmi molto pregiati perché di marmi pregiati era interamente ricoperta la cella della dea Roma in età romana”.

Uscendo poi verso il Colosseo, l’intervento di Bosco si fa più aspro e implicito, ma porta anche una vena, è il caso di dire, più luminosa. “In questa parte – ha aggiunto Fortuna – si trovano delle sculture realizzate sempre da Mattia Bosco, ma con una tecnica diversa: è come se l’artista partisse dal blocco di marmo intero per ricavare da esso un’anima e in questo caso l’anima è una vena d’oro e quindi si tratta della scoperta e della meraviglia per quello che c’è all’interno del blocco di marmo”. Anche a livello di materiali, oltre che di sensibilità scultorea, le opere di Bosco si inseriscono nel contesto archeologico attivando un dialogo che prova a superare il tempo. Aperto al pubblico fino al 14 gennaio 20234, il progetto è promosso dal Parco archeologico del Colosseo, dalla galleria d’arte Atipografia diretta da Elena dal Molin, e da ArtVerona.

In libreria, “Il consolo” di Orsola Severini

In libreria, “Il consolo” di Orsola SeveriniRoma, 9 dic. (askanews) – C’è la storia intima, privata – che si dipana tra dolore, dubbi e rabbia e nella quale il lettore, come fosse uno di famiglia, viene fatto entrare fin dalla prima pagina del libro – e c’è la storia collettiva, quella di un paese del G7 dove ancora oggi accedere alle prestazioni sanitarie per un aborto – terapeutico, nel caso del libro – è un percorso burocraticamente tortuoso e a tratti disumano. Ma “Il Consolo” (Fandango Libri) di Orsola Severini, scrittrice e insegnante di francese, non è solo questo: è un romanzo, ambientato in una Roma contemporanea e dolente, nell’accezione più ampia del termine perché tiene insieme e racconta più di una storia e più di un aspetto nei quali è difficile non riconoscersi.

Nella vicenda della protagonista, nelle sue relazioni familiari e sociali, viene colto e analizzato il momento della crisi, della caduta, della rottura del normale fluire delle cose. Succede a tutti. Nel caso di Orsola è lì – davanti al referto della villocentesi – che le certezze vengono messe in discussione e traballano tutti i rapporti, anche i più solidi, perfino quello con se stessa. Orsola, infatti, nonostante una ferrea educazione femminista e comunista, trova la sua realizzazione maggiore nell’essere madre di due bambini tanto da desiderarne un terzo ma si trova – da sola, nonostante il supporto del marito e della madre – davanti a una scelta dolorosa e a tutto ciò che ne consegue. Le accade quello che a lei, pensava, non sarebbe mai capitato. Così il tempo di un fine settimana in attesa dell’intervento si dilata, le emozioni cominciano a pulsare sotto la corazza di donna controllata e razionale e lei non può fare altro che annotare tutto, andare indietro nel tempo, riesumare ricordi di bambina, invocare, in qualche modo, il conforto, provato nella terra natìa del padre – figura centrale del libro -, grazie all’antica, magica, tradizione del “consolo”: l’offerta di cibo alla famiglia del defunto.

Non manca un racconto puntuale del sistema sanitario pubblico che, tuttavia non si perde nella denuncia giornalistica, perché il libro mantiene sempre il tono, il registro e l’andamento del romanzo. Così, anche davanti ai momenti più difficili vissuti dalla protagonista nell’accedere a un aborto terapeutico, la voglia di raccontare a tutto tondo, senza ignorare altri punti di vista, come, ad esempio, quello degli operatori sanitari che si occupano, spesso in condizioni molto difficili, delle interruzioni di gravidanza, prevale su tutto il resto: “Non voglio giustificare alcuni atteggiamenti che mi hanno ferita profondamente, ma sono comunque grata a queste persone che non si sono girate dall’altra parte come ha fatto la mia ginecologa. Che non mi hanno liquidata”, scrive. Con la stessa lucidità Orsola, affrontando il lutto della propria imminente perdita – “Questo bambino non è mai nato ma non è come se non fosse mai esistito”, osserva -, abbraccia e racconta il rapporto con il padre scomparso, con il marito e con la madre. Ne emerge un affresco dove la potenza della verità, la “voce” dell’autore, travalica l’autobiografia per approdare sul terreno dell’autofiction e rendere la propria storia di giovane madre, di donna moderna e dalla vita apparentemente perfetta che viene sconvolta da un evento inaspettato, universale.

A “Più libri più liberi” il Rights Centre, prima tappa Francoforte24

A “Più libri più liberi” il Rights Centre, prima tappa Francoforte24Roma, 7 dic. (askanews) – Si è chiusa con gli occhi puntati verso Francoforte24 il Rights Centre di Più libri più liberi, la Fiera nazionale della piccola e media editoria, organizzato dall’Associazione Italiana Editori (AIE), e che, di fatto, ha inaugurato le iniziative di avvicinamento sul territorio italiano alla Buchmesse 2024, quando l’Italia sarà Ospite d’Onore.

Alla tradizionale due giorni per lo scambio dei diritti di traduzione con l’estero dedicata alle proposte della piccola e media editoria e organizzata in collaborazione con Aldus Up, programma co-finanziato dalla Commissione Europea attraverso Europa Creativa, hanno partecipato 83 editori italiani, 53 stranieri. Tra questi, dieci operatori di lingua tedesca hanno partecipato il 4 e il 5 dicembre anche al Fellowship Program che ha permesso, con il sostegno di ICE-Agenzia e di Pro Helvetia – Swiss Arts Council, la visita ad alcune case editrici di Roma e la creazione di nuovi contatti e scambi tra le editorie dei due Paesi. Sono state coinvolte le case editrici: Avant-Verlag, Bohem Verlag, Carl Hanser Verlag, Diogenes Verlag, Edition Moderne, Kein & Aber, Nonsolo Verlag, Reprodukt GmbH, Rowohlt Verlag GmbH, S. Hirzel, Ueberreuter Verlag GmbH, Verlag C.H. Beck, Von Schirach Scouting | Penguin Random House. “Come AIE – ha commentato il presidente Innocenzo Cipolletta – abbiamo supportato in questi anni l’internazionalizzazione di tutta l’editoria italiana, con un occhio particolare a quelle case editrici che per limitata capacità finanziaria avevano e hanno maggiori difficoltà ad andare all’estero. Ovviamente la nostra attenzione ora si concentra su Francoforte e sull’editoria tedesca: il Rights Centre di Più libri più liberi, con un focus particolare sulla Germania, costituisce quindi il primo tassello di un lavoro ampio che stiamo facendo per coinvolgere da una parte tutta la filiera, dagli editori ai librai fino ai traduttori, dall’altra per dare visibilità in Germania al sistema delle fiere e dei festival dedicati al libro italiano. Con la stessa attenzione stiamo lavorando al programma per Francoforte 2024: ci sono arrivate oltre 300 proposte dagli editori e dagli agenti letterari, uno straordinario serbatoio di autori e libri, idee e contenuti, che farà da base al palinsesto di circa 80 autori che costruiremo con il Commissario e che presenteremo nel giugno 2024 in una conferenza stampa a Francoforte. Ci sarà spazio per autori di grandi e piccoli editori, scrittori affermati e giovani esordienti, narrativa e saggistica, titoli per ragazzi e opere illustrate. Lavoriamo per rappresentare al meglio tutta l’Italia del libro”.

L’Italia sarà nuovamente protagonista del panorama dell’editoria internazionale presentandosi alla vetrina di Francoforte con il motto “Radici nel Futuro”, un manifesto che guarda con ottimismo al futuro puntando sul talento dei propri autori ma senza dimenticare l’importante tradizione culturale, letteraria e artistica. “È significativo che il viaggio inizi da qui, perché il programma editoriale che stiamo mettendo a punto insieme ad AIE per ottobre 2024 a Francoforte dà largo spazio alla piccola e media editoria. Più libri più liberi è la prima tappa di un percorso che toccherà la Bologna Children’s Book Fair e il Salone Internazionale del Libro di Torino. In Germania, un ampio programma di iniziative editoriali sarà portato avanti grazie anche alla rete degli Istituti italiani di cultura sotto il coordinamento dell’Ambasciata italiana a Berlino.

L’obiettivo è di rappresentare a Francoforte la cultura italiana in tutte le sue espressioni e declinazioni attraverso un cammino condiviso ispirato al motto ‘Radici nel Futuro’ per dare così una luce ulteriore al comparto editoriale italiano”, ha commentato il Commissario Straordinario per la partecipazione dell’Italia come Ospite d’Onore 2024 alla Fiera del Libro di Francoforte Mauro Mazza, mercoledì presente alla Nuvola per un dibattito dedicato proprio alle strategie di promozione e diffusione dei libri nel contesto internazionale. All’incontro, hanno partecipato anche la presidente di Più libri più liberi, Annamaria Malato insieme al presidente della Fiera del Libro di Francoforte Jurgen Boos, che ha aggiunto: “Il programma ‘Ospite d’Onore’ della Fiera del Libro di Francoforte mira a puntare i riflettori sulla cultura e soprattutto sulla letteratura attuale del Paese ospite. I lettori tedeschi e l’industria editoriale internazionale sono impazienti di entrare in contatto con nuove e giovani voci letterarie italiane, nonché con traduttori, editori e membri dell’industria creativa a Francoforte. Da quando nel 2018 è stato firmato il contratto per la presentazione dell’Italia Ospite d’Onore, sono stati messi in atto diversi programmi di promozione della traduzione. Alla fiera di Roma ho notato con piacere che numerosi editori e agenti hanno pianificato i loro programmi e le loro attività intorno alla presentazione dell’Italia Ospite d’Onore 2024. Il Fellowship Program ha ulteriormente favorito lo scambio tra i membri dell’editoria italiana e tedesca”.

Al Museo di Roma in Trastevere in mostra 100 scatti di Lou Dematteis

Al Museo di Roma in Trastevere in mostra 100 scatti di Lou DematteisRoma, 5 dic. (askanews) – Dal 6 dicembre al 24 marzo 2024 il Museo di Roma in Trastevere ospita la mostra “A Journey Back/Un viaggio di ritorno (Fotografie in Italia 1972-1980)”, progetto espositivo dedicato alle foto realizzate in Italia dal fotoreporter statunitense di origine italiana Lou Dematteis.

La mostra, a cura di Claudio Domini e Paolo Pisanelli, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, prodotta e realizzata dall’associazione culturale Errata Corrige, in collaborazione con Big Sur, Officina Visioni, Cinema del Reale, con il contributo di Fondazione Home Movies-Archivio Nazionale del Film di Famiglia, Archivio Franco Pinna. Servizi museali Zètema Progetto Cultura. “A Journey Back/Un viaggio di ritorno” è il diario visivo, espresso attraverso la fotografia, di quattro viaggi che Dematteis compie in Italia nel 1972, 1977, 1979 e 1980. La mostra si sviluppa attraverso un percorso di oltre 100 fotografie, per la maggior parte inedite, selezionate tra le migliaia scattate da Dematteis in Italia e riprodotte in massima parte in forma di stampe ai sali d’argento.

Durante quei quattro viaggi, Dematteis si confronta con una realtà fino ad allora solo immaginata, e attraversa la Penisola in lungo e in largo toccando, oltre ai paesi d’origine dei nonni paterni, tra Piemonte e Liguria, Milano, Venezia, Bologna, le coste della Romagna, Firenze e la Toscana, Roma, Napoli e la costiera amalfitana, la Lucania e la Calabria, spingendosi fino in Sicilia. Un Grand Tour iniziatico, affrontato dall’autore con slancio e curiosità, spostandosi unicamente in treno, che il percorso espositivo cerca di restituire sia in senso cronologico che geografico, per evidenziare anche il processo di rapida trasformazione della società italiana di quegli anni.

Attraverso quell’esperienza Lou Dematteis ha modo di verificare l’efficacia della fotografia come forma di comunicazione e azione politica, per adottarla infine come scelta professionale e di vita negli anni immediatamente successivi, quando diventerà un fotoreporter a tutti gli effetti per l’agenzia Reuters New Pictures. Quello che le foto italiane di Dematteis documentano, oltre che uno spaccato di quasi dieci anni della nostra società, è anche lo sguardo di un giovane americano, di idee radicali e in conflitto con le scelte politiche del suo Paese di provenienza, che cerca risposte nelle proprie origini anagrafiche, al cospetto di una cultura e di un contesto politico-sociale profondamente differente. In esse troviamo l’essenza dell’Italia di allora, quella “ufficiale”, le battaglie popolari per i diritti e la vita nelle strade, il quotidiano della gente comune, i riti sociali, la fabbrica e la scuola, il lavoro nero e quello nei campi, in un carosello di volti e luoghi che sollecitano memoria e immaginario collettivo.

In queste fotografie, a distanza di quasi mezzo secolo da quegli scatti e da quell’Italia, oltre all’evidenza del documento storico, di sapore fotogiornalistico, c’è il “documento emotivo”, il come eravamo, la coscienza di ciò che si è irrimediabilmente perduto. L’intero percorso della mostra sarà scandito dalle parole del poeta beat Lawrence Ferlinghetti (1919-2021), in brevi estratti dai suoi versi e dai suoi diari, il quale come Lou Dematteis, di cui è stato buon amico, ha riflettuto spesso sul rapporto con le proprie radici italiane. Inserito nel percorso espositivo, un breve film documentario realizzato per la circostanza da Paolo Pisanelli e Matteo Gherardini, racconterà attraverso le parole dell’autore la sua vicenda professionale e umana, e i “viaggi di ritorno” nella sua seconda patria. Louis (Lou) Frank Dematteis è nato a Palo Alto (California) nel 1948 ed è cresciuto ascoltando le storie di immigrati o raccontate da immigrati. Influenzato dalla fotografia sociale di Jacob Riis e Lewis Hine, dall’esperienza della Farm Security Administration, e dai fotografi della Magnum Photo, in particolare la poetica del “momento decisivo” di Henri Cartier-Bresson. Dalla metà degli anni Settanta inizia a collaborare con diverse testate internazionali e nel 1985 entra stabilmente nello staff dell’agenzia Reuters New Pictures. Inviato in Centroamerica, Dematteis documenterà per cinque anni i conflitti di quelle regioni. In Nicaragua, una sua celebre foto del mercenario al soldo della C.I.A. catturato dall’esercito locale diventa la prova del coinvolgimento del governo statunitense nelle pratiche segrete tese a rovesciare gli esiti della rivoluzione sandinista, e gli varrà numerosi riconoscimenti internazionali, inclusa una menzione della World Press Photo e l’inclusione nella selezione delle foto dell’anno del “New York Times” e della National Press Photographers Association. A partire dai primi anni 2000 ha iniziato l’attività di filmmaker e autore documentarista realizzando nel 2010 il film “Crimebuster”. Un figlio alla ricerca di suo padre, dedicato alla vita e alla carriera di Louis B. Dematteis, papà di Lou, famoso procuratore distrettuale a Redwood City, pilastro della locale comunità italoamericana. Nel 2022 esce il suo secondo documentario “Keeper of the Fire”, dedicato al poeta e attivista Alejandro Murguía. Ha pubblicato diversi fotolibri: “Nicaragua: A Decade of Revolution”, nel 1991; “A Portrait of Viet Nam”, nel 1996; “Crude Reflections: Oil, Ruin and Resistance in the Amazon Rainforest”, nel 2008; “Lowriders”, nel 2016. I suoi lavori sono stati esposti in tutto il mondo. Sette fotografie della serie Lowriders sono state recentemente acquisite dal San Francisco Museum of Modern Art per la propria collezione permanente. Nell’estate del 2023 la Festa del Cinema del Reale e dell’Irreale gli ha dedicato una mostra antologica nel castello di Corgliano d’Otranto (LE) (“Five From Ore. Cinque paesi, cinque storie”). Vive a San Francisco e attualmente è impegnato nella produzione di documentari di carattere sociale.