Skip to main content
#sanremo #studionews #askanews #ciaousa #altrosanremo

Tag: askanews

Meloni irritata da Macron, “salta” visita Kiev e G7. E Bannon la imbarazza

Meloni irritata da Macron, “salta” visita Kiev e G7. E Bannon la imbarazzaRoma, 22 feb. (askanews) – Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron non si sono mai amati, per usare un eufemismo. Ma il protagonismo del presidente francese sull’Ucraina ha fatto toccare il punto probabilmente più basso nei rapporti tra i due.


La premier ha considerato quantomeno una “fuga in avanti” la convocazione del summit di lunedì 17 febbraio all’Eliseo e con ancora più irritazione guarda le mosse successive, con il viaggio a Washington la prossima settimana. Meloni ha seriamente pensato di disertare il summit di Parigi, poi è andata, ma per far mettere a verbale la contrarietà a un formato che – ha detto la premier – “esclude molte nazioni” quando invece occorrerebbe “includere”. Per lei la strada sarebbe quella di un Consiglio europeo straordinario che però rischierebbe – viste le posizioni di Viktor Orban e Robert Fico – di chiudersi senza un accordo, certificando nero su bianco che l’Ue è bloccata.


Per di più Macron l’ha “scavalcata” ottenendo di essere ricevuto la prossima settimana – primo leader europeo – alla Casa Bianca insieme al premier britannico Keir Starmer. I due, va ricordato, guidano gli unici due Paesi europei dotati di arsenale nucleare, e quindi in grado di esercitare una reale deterrenza. Non è certo un segreto che l’obiettivo di Meloni, accarezzato anche in occasione della missione lampo a Washington per l’Inauguration Day, fosse quello di essere lei la prima europea ammessa allo Studio Ovale, in virtù di quel “rapporto privilegiato” che nei suoi piani le avrebbe permesso di essere un “ponte” tra Europa e Usa. Invece ci andrà il francese, peraltro a proporre una soluzione – una forza di 30mila soldati europei di peacekeeping – su cui lei, già lunedì, ha detto “no”. Meloni si è trovata dunque messa in un angolo, nella condizione di mantenere la linea della necessità di un dialogo con il tycoon, resa sempre più difficile dall’escalation di dichiarazioni (Zelensky? Un “dittatore” bravo solo a “manipolare Biden”, tra le altre cose) dell’inquilino della Casa Bianca. Anche per questo ha deciso di marcare la distanza dagli altri leader. Dunque lunedì, a differenza degli scorsi due anni, non sarà a Kiev per il terzo anniversario dell’invasione. Da Zelensky andranno il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa e la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, accompagnati dal premier spagnolo Pedro Sanchez. Lei non ci sarà (né sono previste missioni a breve in Ucraina) perché lunedì sarà impegnata a Roma, ha spiegato, per il Business Forum italo-emiratino, presente lo sceicco Mohammed bin Zayed. Per lo stesso motivo salterà anche la riunione in videoconferenza del G7 (l’Italia sarà rappresentata da Antonio Tajani).


Adesso – è il dilemma di Meloni e del suo staff – come si può recuperare un ruolo da protagonista nel rapporto tra le due sponde dell’Atlantico? Per qualche ora la premier ha pensato di volare a Washington per partecipare di persona alla Cpac, la Conferenza dei conservatori in corso a Washington e incontrare Trump. Poi ci ha ripensato, fissando il suo intervento in video-collegamento per la giornata conclusiva, sabato 22, prima del discorso del tycoon. Un’intervento di fronte a quella platea, nelle sue intenzioni, sarebbe stato l’occasione per tornare al centro della scena. Ma il saluto in stile nazista (che lui smentisce) di Steve Bannon ha creato forte imbarazzo e una “riflessione”, visto che anche il leader del Rassemblement National francese Jordan Bardella ha annullato il suo intervento. La decisione, al momento, non è stata ancora comunicata ufficialmente ma Meloni, alla fine, dovrebbe fare il suo discorso, in cui terrà un basso profilo, cercando di evitare tutti i temi (dunque a partire dall’Ucraina) più spinosi. Di Alberto Ferrarese e Lorenzo Consol

Il paradosso dell’Ue: per difesa europea serve un’azione non comunitaria

Il paradosso dell’Ue: per difesa europea serve un’azione non comunitariaRoma, 22 feb. (askanews) – Nella politica estera l’Ue è debole e divisa, anzi: è debole perché è divisa. Agisce su mandato degli Stati membri, ma questo mandato deve essere unanime, e basta che un solo paese non sia d’accordo con la stragrande maggioranza degli altri, per paralizzare qualunque decisione.


Basta vedere il ritardo, l’inconcludenza, o addirittura l’assenza delle reazioni dell’Europa alle minacce, le provocazioni e gli attacchi di Donald Trump. La Commissione europea è ben attrezzata per le risposte alle ‘aggressioni’ americane nel settore del Commercio internazionale, perché ha competenza esclusiva in quest’area; ma non è così per la politica estera e per la difesa, dove il potere è tutto nelle mani degli Stati membri, e l’Ue in quanto tale appare solo timidamente, pateticamente, cercando sempre faticosamente di avere una posizione senza inciampare nel veto di questo o quel paese. Perché possa esistere, con un peso politico significativo sulla scena mondiale, con una sua politica estera e di sicurezza e con una vera e propria politica industriale comune per la difesa, l’Europa dovrà agire al di fuori dell’Ue e delle politiche comunitarie, con accordi intergovernativi tra gli Stati membri dell’Unione disposti ad avanzare su questa strada e con altri paesi europei extracomunitari, come il Regno Unito e la Norvegia.


E’ questo, tra l’altro, il senso più probabile dei due mini summit successivi che il presidente francese, Emmanuel Macron, ha organizzato con diversi capi di governo europei, ma comunque senza invitare i paesi più filo russi. La cosa più importante ora è capire se ci sia la volontà da parte dei paesi presenti all’Eliseo di far partire una nuova Europa della difesa, con il Regno Unito e magari la Norvegia e senza le palle al piede di Ungheria e Repubblica ceca o di altri paesi dell’Est che non sono pronti. Si potrebbe addirittura pensare a un nuovo trattato che decida l’esercito europeo, uno stato maggiore europeo, decisioni a maggioranza qualificata con la possibilità per chi non è d’accordo di tirarsi fuori senza bloccare gli altri, e soprattutto una vera politica industriale europea centralizzata e armonizzata, almeno per il settore della difesa. C’è anche la strada, prevista dai Trattati Ue, delle ‘cooperazioni rafforzate’: un certo numero di Stati membri che si mette d’accordo per andare avanti verso un obiettivo condiviso senza aspettare gli altri, ma pronto ad accoglierli se decidono di raggiungerli; un gruppo, quindi, da cui sono esclusi fin dall’inizio i paesi reticenti, che non possono quindi usare il diritto di veto contro il progetto comune. Come ricorda un veterano delle istituzioni Ue, Emilio De Capitani, ex funzionario del Parlamento europeo, ‘è già avvenuto con l’accordo di Schengen per la soppressione dei controlli alle frontiere interne, con gli accordi di Prum per la cooperazione di polizia contro il crimine organizzato, e con l’accordo sul Mes’ per i prestiti agli Stati membri con problemi di bilancio. ‘Queste forme di cooperazione ‘parallela’ all’Ue, ma che ne anticipano gli obiettivi – ci ha detto ancora De Capitani – sono state considerate legittime persino dalla Corte europea di Giustizia (giurisprudenza ‘Pringle’)’.


Con questo in mente, vale la pena di rileggere ciò che ha detto Mario Draghi nel suo ultimo intervento al Parlamento europeo, il 18 febbraio a Bruxelles, parlando della necessità di cambiare il modello decisionale dell’Ue: ‘Una cosa che dobbiamo prima considerare è: l’unanimità continuerà a essere il principio guida chiave per prendere decisioni nella nostra Unione?’ Il rapporto sulla competitività da lui presentato, ha ricordato l’ex premier italiano, ‘suggerisce che, in effetti, non dovrebbe esserlo, che dovremmo passare a una maggioranza qualificata su molte, molte aree. E la mia sensazione è che, nei prossimi mesi, i paesi si raggrupperanno esattamente su questo punto, paesi che continueranno a difendere l’unanimità e paesi che sono pronti a scendere a compromessi e ad andare verso un meccanismo di voto a maggioranza qualificata’. ‘Ma poi – ha continuato Draghi – il rapporto dice che ci sono anche altri modi. Uno è il modello di cooperazione rafforzata, che è presente nei nostri Trattati, ma non siamo creativi su questo. E il terzo è, francamente, il modello intergovernativo: vale a dire due, tre, quattro governi che concordano su certi obiettivi e decidono che si muoveranno insieme, rimanendo aperti all’ingresso di altri paesi’. ‘Io penso, spero, che sia ovviamente meglio andare tutti insieme; ma per andare insieme, specialmente in settori come la difesa, la politica estera, c’è bisogno di una valutazione comune di quali sono i rischi, e quali sono i compromessi, o soprattutto di chi è il nemico. Bisogna essere tutti uniti su questo’, ha concluso l’ex presidente della Bce. Finora, il problema che ha diviso gli europei è quello del finanziamento della spesa per gli investimenti nelle capacità di difesa, come e dove trovare le ingenti risorse necessarie (nuovo debito nazionale o europeo, o tagli ad altre voci della spesa pubblica), e come considerarle nel quadro delle regole Ue sui bilanci del Patto di stabilità riformato (su questo punto la Commissione europea ha già annunciato la sua sospensione per la spesa militare). Un rapporto appena pubblicato dal think-tank Bruegel (‘Defending Europe without the US: first estimates of what is needed’, di Alexandr Burilkov e Guntram B. Wolff, 21 febbraio 2025) conclude che, per prendere interamente a suo carico la propria difesa, l’Europa avrebbe bisogno di un numero ingente di nuove truppe da mobilitare (300.000 soldati) e di un aumento di almeno 250 miliardi di euro all’anno della sua attuale spesa militare, che è oggi al 2% del Pil, in media, ma che dovrebbe raggiungere il 3,5%, come sta già cominciando a chiedere la Nato.


Ma ora, oltre al problema dei finanziamenti, dopo le clamorose posizioni assunte dalla nuova Amministrazione Trump, che non lasciano dubbi sulle intenzioni di ritirare gran parte delle forze Usa dal dispositivo Nato di difesa dell’Europa, la discussione si sta spostando su un altro piano: come spendere e come utilizzare queste nuove risorse, in base a quali piani, coordinati, centralizzati e decisi da chi, in base a quale politica industriale. Che cosa significa una politica industriale europea per la difesa? Sostanzialmente significa che gli Stati partecipanti devono conferire a una struttura centralizzata una serie di poteri che vanno ben al di là del coordinamento, dello ‘stimolo’, della fissazione di obiettivi indicativi, dei contributi finanziari. Una politica industriale unica della difesa significa che questo potere centralizzato potrebbe imporre all’apparato industriale di ciascun paese partecipante, degli appalti congiunti di fornitura, che cosa produrre, con quali caratteristiche, in quali quantità, a quali prezzi, a chi vendere e da chi comprare, e secondo quali quote, ed eventualmente le capacità aggiuntive da installare oppure, al contrario, le sovracapacità o le capacità superflue da eliminare. Tutto questo oggi, con l’attuale quadro giuridico Ue, non è possibile. Il Trattato sul funzionamento dell’Unione non comprende la politica industriale tra le ‘competenze condivise’ (art.4), per le quali gli Stati membri possono agire solo se l’Unione ha scelto di non esercitare la sua competenza (ad esempio nelle politiche dei trasporti, della coesione, dell’energia e dell’ambiente e del mercato interno). L’industria, invece, è tra le competenze nazionali (art.6), come la cultura e il turismo, per le quali l’Ue può sostenere, coordinare o completare le azioni degli Stati membri, ma non può adottare atti giuridici vincolanti che richiedano loro un’armonizzazione europea delle proprie leggi e dei propri regolamenti. Un vero e proprio piano di politica industriale europeo, in realtà, è stato realizzato una sola volta, nel periodo 1977-1982, nel settore siderurgico, su iniziativa della Commissione e in particolare di Etienne Davignon, allora responsabile per gli Affari industriali e il Mercato interno. Il commissario Davignon ottenne una dichiarazione ufficiale di ‘crisi manifesta’ nel settore siderurgico, votata dai governi dell’allora Comunità europea, in base a cui la Commissione fu autorizzata ad adottare ampie misure contro la sovracapacità, come la regolamentazione dei prezzi (prezzi minimi), quote di produzione obbligatorie, soppressione di capacità, come condizione per il sostegno comunitario ai piani di ristrutturazione nazionali, e poi regolamenti contro i sussidi statali, quote per le importazioni da paesi terzi. Ma tutto ciò sarebbe impossibile oggi, perché la base giuridica del piano Davignon era il Trattato di Parigi del 1951 sulla Comunità europea del carbone e dell’acciaio, che è scaduto nel 2002. E’ vero che esiste una Agenzia europea per la difesa (Eda), istituita come una ‘azione comune’ dal Consiglio Ue nel 2004, poi integrata nel sistema istituzionale col Trattato Ue di Lisbona (art. 42) e ulteriormente sviluppata con ulteriori decisioni del Consiglio Ue nel 2011 e nel 2015 che ne hanno definito lo statuto, la sede (a Bruxelles) e le norme operative. Ma se si guarda ai compiti dell’Agenzia, si capisce subito che non sarebbero sufficienti a realizzare una vera propria politica industriale europea nel settore. Le sue tre missioni principali sono ‘sostenere lo sviluppo delle capacità di difesa e la cooperazione militare tra gli Stati membri dell’Unione europea; stimolare la ricerca e tecnologia e rafforzare l’industria europea del settore; agire come interfaccia militare per le politiche dell’Ue’. Sul sito dell’Eda, si legge inoltre che l’Agenzia ‘funge da catalizzatore, promuove collaborazioni, lancia nuove iniziative e introduce soluzioni per migliorare le capacità di difesa. È il luogo in cui gli Stati membri che desiderano sviluppare capacità in cooperazione lo fanno. È anche un facilitatore chiave nello sviluppo delle capacità necessarie a sostenere la politica di sicurezza e difesa comune dell’Unione’. Tutto qui. E si sa che non sono stati un grande successo finora i tentativi di acquisti con appalti in comune, come quelli sperimentati per i vaccini e per l’energia, mentre si continua a deprecare lo spreco dei ‘doppioni’ e della mancanza di complementarietà tra le diverse capacità produttive delle industrie nazionali della difesa (ad esempio con decine di modelli di carri armati, mentre gli Usa ne hanno uno solo) e dagli alti costi di produzione dovuti alla mancanza della dimensione di scala europea. Per non parlare delle lacune enormi che il disimpegno Usa lascerebbe, in particolare, nella copertura satellitare e nella difesa aerea. Di Lorenzo Consoli e Alberto Ferrarese

Pesticidi, tre contraddizioni Commissione Ue nella Visione per l’agricoltura

Pesticidi, tre contraddizioni Commissione Ue nella Visione per l’agricolturaRoma, 22 feb. (askanews) – Quando la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, annunciò, un anno fa a Strasburgo, il ritiro del regolamento sulla riduzione obbligatoria dei pesticidi (prevedeva il 50% in meno entro il 2030 e il divieto totale nelle zone sensibili), mesi dopo che il Parlamento europeo lo aveva bocciato con 299 voti contro 207 e 121 astensioni, motivò la sua decisione con il fatto che questa normativa era “diventata un simbolo di polarizzazione”, ma fu molto chiara sul fatto che il successivo Esecutivo Ue, da chiunque fosse stato guidato, avrebbe avuto il compito di presentare “una nuova proposta molto più matura”. “Naturalmente, questo tema rimane, e per andare avanti c’è bisogno di più dialogo e di un approccio diverso”, disse von der Leyen.


Alla guida della Commissione successiva c’è sempre lei, Ursula von der Leyen; ma quella promessa, l’impegno che aveva preso per il nuovo mandato di ritornare comunque a proporre norme con lo stesso obiettivo di “ridurre il rischio dei prodotti chimici di protezione delle piante” non l’ha mantenuta, o l’ha dimenticata. Nella nuova “Visione per l’agricoltura e l’alimentazione” presentata il 19 febbraio in conferenza stampa dal vicepresidente esecutivo della Commissione Raffaele Fitto e dal commissario all’Agricoltura, Christophe Hansen, non c’è traccia di una proposta simile. E fonti della Commissione hanno precisato lo stesso giorno che “non ci sarà durante questo mandato”.


Al contrario, nel comunicato stampa che presenta la “Visione”, c’è una frase sibillina secondo cui “la Commissione considererà attentamente qualunque ulteriore messa al bando dell’uso di pesticidi, se non ci saranno alternative disponibili in un intervallo ragionevole di tempo”. Come dire che verrà data priorità alla prevenzione dell’impatto economico negativo sull’attività degli agricoltori, rispetto alla necessità di evitare danni alla salute e all’ambiente, quando emergono rischi gravi a carico di una sostanza chimica usata nei pesticidi. La terza contraddizione della Commissione riguarda il cosiddetto “allineamento degli standard” tra i prodotti agroalimentari dell’Ue e quelli importati dai paesi terzi, riguardo alle sostanze vietate (come pesticidi e Ogm per le piante e trattamenti agli ormoni e antibiotici per gli animali d’allevamento), e riguardo anche alle normative sul benessere animale.


Subito dopo l’approvazione dell’accordo commerciale con i paesi latino-americani del Mercosur, la Commissione ha sempre risposto con determinazione a una delle critiche più ricorrenti da parte degli oppositori dell’Accordo, quella secondo cui esso consentirà l’importazione nell’Ue di prodotti agroalimentari per i quali si è fatto uso di sostanze vietate nei paesi europei. Le posizioni della Commissione erano state riportate fedelmente anche da questa newsletter, il 21 dicembre scorso “le nostre regole per l’importazione – ci aveva assicurato un funzionario Ue – non cambiano. Riguardo a ormoni e pesticidi, ad esempio, abbiamo una legislazione molto robusta: noi fissiamo i nostri livelli nell’Ue, e questi si applicano anche alle importazioni”.


Ma ora la Commissione ammette che, effettivamente, qualche problema potrebbe esserci, perché i controlli sulle importazioni, per verificare che nel nostro mercato unico non entrino prodotti contenenti sostanze vietate nell’Ue, si limitano a certificare se la presenza residuale di queste sostanza resti al di sotto delle soglie massime (“maximum residue level”) fissate dalla legislazione europea. Al di sotto di queste soglie, i prodotti importati sono considerati sicuri per la salute e per l’ambiente. Ma possono comunque essere presenti delle sostanze vietate nell’Ue. E questo potrebbe comportare uno svantaggio per le imprese agroalimentari europee, configurare delle situazioni di concorrenza sleale. E dunque, forse va rivista la legislazione comunitaria per prevedere, almeno per certe sostanze, un divieto totale, senza soglie di tolleranza all’importazione. “I nostri agricoltori e il settore agroalimentare hanno bisogno di condizioni di parità. Ciò significa – ha spiegato Hansen durante la conferenza stampa – un allineamento più forte sugli standard di produzione per le importazioni. Prendiamo i pesticidi, ad esempio. Il principio che presentiamo oggi è chiaro: i pesticidi più pericolosi vietati nell’Ue per motivi di salute o ambientali non dovrebbero essere ammessi di nuovo nell’Unione tramite prodotti importati. Questo risponde anche alle richieste dei cittadini, della società civile, delle organizzazioni degli agricoltori e delle istituzioni politiche, che chiedono un cambiamento. E noi lo realizzeremo”.”Il lavoro – ha annunciato il commissario – inizia immediatamente, quest’anno. Come sempre, la nostra azione sarà guidata dal pragmatismo, dal rispetto degli obblighi internazionali e dal dialogo. Ecco perché, parallelamente, continueremo a promuovere i nostri standard a livello internazionale, presso la Fao, l’Organizzazione mondiale del commercio e gli organismi internazionali di definizione degli standard, come il Codex”. Fonti qualificate della Commissione ci hanno spiegato poi che “è importante ricordare che quando importiamo derrate alimentari in Europa, ci assicuriamo che non abbiano un impatto negativo, che i nostri consumatori siano protetti, stabilendo le soglie massime tollerate di residui delle sostanze pericolose. La novità della ‘Visione’ è che riconosciamo come effettivamente”, nella situazione attuale, possa capitare che importiamo dei prodotti che contengono pesticidi che sono stati vietati nell’Ue, sia per motivi di salute che per motivi ambientali, anche se al di sotto di soglie massime considerate sicure”. E quindi, hanno continuato le fonti, “per i pesticidi più pericolosi vorremmo stabilire un nuovo principio: che potremo vietarne la presenza, anche a livelli sicuri per i consumatori, nei prodotti importati. Ma per fare questo, per farlo seriamente, dobbiamo fare una valutazione d’impatto in cui esamineremo gli aspetti legati alla concorrenza, così come l’impatto sul nostro commercio. Quindi, considerando tutti gli elementi, se sarà appropriato, potremo avere una revisione della legislazione Ue”, hanno concluso le fonti. Di Lorenzo Consoli e Alberto Ferrarese

Ucraina, Conte: io filo-Trump? Mai condivisi insulti a Zelensky

Ucraina, Conte: io filo-Trump? Mai condivisi insulti a ZelenskyRoma, 22 feb. (askanews) – Definirlo putiniano o filotrumpiano “è una bestemmia”: questo l’esordio del leader del Movimento 5 stelle, Giuseppe Conte, in un colloquio con il Corriere della sera.


“Mai condivisi gli insulti a Zelensky. La mia linea è la stessa di prima ed è ampiamente concordata nel Movimento. Dà fastidio – rivendica l’ex presidente del Consiglio — per la semplice ragione che ci avevamo visto giusto, che abbiamo il coraggio della verità e che non siamo al servizio della lobby delle armi”. Conte torna a polemizzare con la linea seguita dall’Europa e dal governo Meloni sulla guerra, colpevoli di aver “lasciato cadere una prospettiva negoziale a due mesi dall’aggressione di Putin con prospettive ben più favorevoli per l’Ucraina rispetto a quelle che si prospettano adesso. Hanno fatto credere all’opinione pubblica che stavamo vincendo la guerra, che le sanzioni contro Putin stavano funzionando, che l’economia russa stava crollando, che i russi avevano finito le armi. Hanno detto che la controffensiva ucraina stava prevalendo, che Putin era malato e stava morendo. Hanno convinto che la Russia era isolata mentre ha rafforzato il legame con la Cina. Tutto pur di non impegnarsi nella sola possibile via d’uscita: il negoziato di pace”.


Conte filorusso o filotrumpiano? “Fake news, come al solito, su di me e sul M5S. Meloni e i suoi sodali bellicisti dovrebbero scusarsi di aver scommesso sulla vittoria militare di Kiev. Noi siamo stati i primi a denunciare l’assenza di una strategia politica da parte dell’Europa, i primi a denunciare che saremmo rimasti fuori dal negoziato”. Quanto al presidente Usa, “sono il leader in Italia che più chiaramente ha preso le distanze da posizioni inquietanti assunte da Trump. Le respingo con forza: dalla riviera a Gaza che presuppone la inaccettabile deportazione della popolazione palestinese, all’aumento delle spese militari all’introduzione dei dazi. Mi auguro invece che il negoziato sia portato avanti con fermezza per tutelare al massimo l’Ucraina”.

Risultati e classifica serie A, Udinese a quota 36

Risultati e classifica serie A, Udinese a quota 36Roma, 21 feb. (askanews) – Questi i risultati e a classifica di serie A dopo Lecce-Udinese 0-1


26^ GIORNATA Lecce-Udinese 0-1, sabato 22 febbraio ore 15 Parma-Bologna, Venezia-Lazio, ore 18 Torino-Milan, ore 20,45 Inter-Genoa, domenica 23 febbraio ore 12.30 Como-Napoli, ore 15 Verona-Fiorentina, ore 18 Empoli-Atalanta, ore 20.45 Cagliari-Juventus, lunedì 24 febbraio ore 20.45 Roma-Monza Classifica: Napoli 56, Inter 54, Atalanta 51, Lazio, Juventus 46, Fiorentina 42, Bologna*, Milan* 41, Roma 37, Udinese 36, Genoa 30, Torino 28, Cagliari, Como, Lecce 25, Verona 23, Empoli 21, Parma 20, Venezia 16, Monza 14. * una partita in meno (Bologna-Milan 26 o 27 febbraio)


27ª GIORNATA Venerdì 28 febbraio ore 20.45 Fiorentina-Lecce, sabato 1° marzo ore 15 Atalanta-Venezia ore 18 Napoli-Inter, ore 20.45 Udinese-Parma, domenica 2 marzo ore 12.30 Monza-Torino, ore 15 Bologna-Cagliari, Genoa-Empoli, ore 18 Roma-Como, ore 20.45 Milan-Lazio, lunedì 3 marzo ore 20.45 Juventus-Verona

Turismo, per Autentico Hotel due nuove strutture di lusso in Campania

Turismo, per Autentico Hotel due nuove strutture di lusso in CampaniaMilano, 21 feb. (askanews) – Autentico hotels, brand dell’ospitalità del lusso in Italia, arricchisce il suo portofolio con due strutture della costiera amalfitana e delle sue isole. Il Miramalfi di Amalfi e l’Excelsior Parco di Capri.


Il Miramalfi – si legge in un comunicato – è un rifugio di lusso discreto dove ogni dettaglio invita al relax, circondati dal suono delle onde e dal profumo del mare. Un angolo di tranquillità sospeso tra cielo e mare immerso nella magia della costiera amalfitana che offre una vista spettacolare e design contemporaneo. L’Excelsior Parco Luxury Villa, a Capri, è vincitore dei premi Travellers’ Choice Best Of The Best dal 2012 al 2024, l’Excelsior Parco è un piccolo gioiello d’epoca in stile liberty illuminato dal caldo sole di Capri, costruito nel 1906 sui resti di un’antica villa romana. L’Art Nouveau a cui si ispira l’arredamento delle sue 11 camere si fonde a decori lussuosi che rendono omaggio all’isola, alle bellezze di Capri, all’atmosfera elegante della villa e agli scenari con vista sul Golfo di Napoli


Con l’ingresso di queste 2 strutture Autentico Hotels prosegue il suo percorso consolidando la presenza come punto di riferimento per chi cerca il lusso autentico e si avvicina al traguardo di 25 strutture con la volontà di chiudere il club e mantenere una connotazione di esclusività. Tutte le 21 strutture facenti oggi parte di Autentico Hotels sono indipendenti e a conduzione famigliare.

Bresh, fuori “Creuza de Ma – live version” con Cristiano de André

Bresh, fuori “Creuza de Ma – live version” con Cristiano de AndréRoma, 21 feb. (askanews) – Dopo l’emozionante performance che Bresh, uno dei cantautori più apprezzati della nuova generazione, e Cristiano de André hanno regalato sul palco del Teatro Ariston nel corso dell’ultimo Festival di Sanremo, è disponibile in digitale “Creuza de Ma – live version”, cover del brano di Fabrizio De André.


Pensata inizialmente per la sola esibizione durante la serata dedicata alle cover del Festival di Sanremo 2025, la versione live di “Creuza de ma” di Bresh e Cristiano De André arriva sulle piattaforme digitali, grazie all’affetto e al sostegno che il pubblico ha dimostrato nei confronti di questa speciale reinterpretazione del capolavoro di Faber. È inoltre in radio “La tana del granchio”, il singolo con cui Bresh è stato per la prima volta in gara alla 75esima edizione del Festival di Sanremo.


Il singolo (testo di Bresh, musica di Luca Di Blasi, Giorgio De Lauri, Luca Ghiazzi e prodotto da Dibla, JIZ, SHUNE), disponibile anche uno speciale vinile 45 giri, è alla #6 della Top 50 Italia di Spotify, alla #7 della classifica italiana di Shazam e per due settimane consecutive alla #8 della classifica FIMI/GfK dei singoli più venduti. Inoltre, in questi giorni il suo primo album “Che Io Ci Aiuti” ha conquistato la certificazione Platino in Italia e il catalogo di Bresh ha superato il miliardo di streaming su Spotify.


E quest’anno, dopo il grande successo del tour sold out che l’ha visto protagonista nel 2023, per la prima volta si esibirà live nei palasport con tre date tra Roma e Milano: sabato primo novembre al Palazzo dello Sport di Roma e giovedì 6 (già sold out) e venerdì 7 novembre all’Unipol Forum di Milano. Biglietti disponibili in prevendita su www.livenation.it È infine disponibile lo speciale vinile dell’album “Oro Blu” (certificato doppio platino) contenente anche il brano “Nightmares” (doppio platino), insieme ai Pinguini Tattici Nucleari.

Saluto nazista Bannon imbarazza, Meloni riflette su intervento a Cpac

Saluto nazista Bannon imbarazza, Meloni riflette su intervento a CpacRoma, 21 feb. (askanews) – Il saluto nazista di Steve Bannon imbarazza Giorgia Meloni, incalzata dalle opposizioni che le chiedono di non intervenire alla Conservative Political Action Conference (CPAC). All’evento dei Conservatori in corso a Washington è previsto che la premier parli, in videocollegamento, domani alle 19.15 ora italiana, ma sulla partecipazione è in corso una riflessione.


Bannon, ex consigliere di Donald Trump (nel 2021 al centro di un ‘caso’ per l’insediamento di una ‘accademia sovranista’ nella Certosa di Trisulti nel frusinate) al termine del suo intervento ha salutato con braccio teso, palmo verso il basso, dita dritte, con un angolo verso l’alto lontano dal petto. Un saluto molto simile a quello che Elon Musk aveva esibito durante la festa di insediamento del presidente. Il gesto di Bannon è arrivato dopo aver esortato con enfasi il pubblico del CPAC a “combattere, combattere, combattere”. Dopo la notizia del gesto, il presidente del Rassemblement National Jordan Bardella ha deciso di annullare il suo discorso, in programma oggi. “Su questo podio – ha spiegato in una nota il leader del partito di estrema destra francese – mentre non ero presente in sala, uno degli oratori si è concesso, come provocazione, un gesto che faceva riferimento all’ideologia nazista. Di conseguenza, ho preso la decisione immediata di annullare il mio intervento in programma questo pomeriggio”. “Non è un uomo, è indegno di guidare la Francia”, la replica di Bannon, che nega di aver fatto un saluto nazista ma un “saluto alla folla”.


Un silenzio imbarazzato è quello che avvolge Palazzo Chigi e tutto il centrodestra, da cui non arrivano reazioni. Secondo alcune fonti, però, sulle modalità della partecipazione della premier sarebbe in corso una “riflessione” ed è possibile che il collegamento sia ridotto a un meno impegnativo videomessaggio registrato. L’opposizione, nel frattempo, va all’attacco: “Persino Bardella ha annullato la sua partecipazione dopo questo fatto, ci chiediamo dove voglia portare l’Italia Giorgia Meloni, nella sua incapacità di scegliere tra la maglietta dell’Italia e il cappellino di Trump. Altro che ‘ponte’ con gli Usa, si sta dimostrando già una vassalla. Abbia la decenza di dissociarsi da questo raduno neofascista per fare, una volta tanto, gli interessi dell’Italia”, dice la segretaria Pd Elly Schlein. “Il vecchio Bannon non si smentisce mai. E ora la presidente del consiglio Meloni, anche stavolta, farà finta di niente?”, aggiunge il leader di Avs Nicola Fratoianni.

Sanremo, Radiofestival di RTL102.5: “Sui social oltre 70 mln di views”

Sanremo, Radiofestival di RTL102.5: “Sui social oltre 70 mln di views”Roma, 21 feb. (askanews) – Si è concluso il #RADIOFESTIVAL di RTL 102.5, l’operazione della prima radio d’Italia a Sanremo 2025. Per tutta la settimana, RTL 102.5 ha trasmesso dalla Città dei Fiori, dove il suo Radio Truck ha accolto i protagonisti del Festival della Canzone Italiana. Ogni giorno, la prima radio d’Italia ha raccontato il Festival di Sanremo 2025 attraverso tutti i touchpoint, con grandi ospiti, interviste esclusive e tanta musica con i protagonisti della kermesse canora.


Nella settimana sanremese, RTL 102.5, con #RADIOFESTIVAL, è diventata protagonista nel mondo social con una copertura di oltre 70 milioni di visualizzazioni, creando un importante coinvolgimento del pubblico con oltre 3 milioni di interazioni, un total video views di oltre 43 milioni e il 47% di replays dei Reel su Instagram.

Dal podcast al teatro con “Leggo la Bibbia” di Laura Tanfani

Dal podcast al teatro con “Leggo la Bibbia” di Laura TanfaniRoma, 21 feb. (askanews) – “Leggo la Bibbia” il divertente e geniale show dell’autrice comica, scrittrice e podcaster Laura Tanfani (1988) debutterà nei teatri d’Italia dal 6 marzo con date a Roma, Milano, Bologna e Ancona. Lo spettacolo racconta la bibbia come un romanzo, da leggere tutto d’un fiato, con guizzi intelligenti, interpretazioni inattese e, soprattutto, facendo ridere. Leggendo storie e leggende della guida spirituale per eccellenza con le lenti dell’attualità e riferimenti alla cultura pop, senza mai essere offensiva.


Tutto nasce dal successo dell’omonimo podcast, nato a sua volta da un progetto social, dove l’autrice nel 2023 inizia a leggere ogni giorno sui suoi account ig e tiktok un passo della Bibbia, la “guida spirituale” per eccellenza, ma anche un libro pieno di storie incredibili e appassionanti, storie di battaglie, amori, famiglie, tradimenti e “magie” che non ha niente da invidiare a fantasy come Harry Potter o Il Signore degli Anelli. Laura Tanfani (1988) è già nota al pubblico social per il successo di Vita da commessa che l’aveva già consacrata al pubblico social come la “regina delle commesse”, di cui raccontava la vita e le assurde richieste dei clienti, con divertenti vignette e sketch. Successivamente ha pubblicato il libro “Se la mia vita fosse una canzone” edito da Sperling & Kupfer.