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Autore: Redazione StudioNews

Ucraina, Merkel: servono sia deterrenza che negoziati con la Russia di Putin. E non può decidere solo Kiev

Ucraina, Merkel: servono sia deterrenza che negoziati con la Russia di Putin. E non può decidere solo KievRoma, 23 nov. (askanews) – Per risolvere la guerra ucraina, c’è bisogno sia della deterrenza sia dei colloqui con la Russia di Vladimir Putin. E a decidere non può essere soltanto Kiev. Lo ha affermato l’ex cancelliera tedesca Angela Merkel in un’intervista pubblicata dal Corriere della Sera oggi, in occasione dell’uscita dell’autobiografia dell’ex leader tedesca.


“Abbiamo bisogno della doppia azione, da un lato colloqui e contatti, dall’altro deterrenza. Ne ero e ne rimango convinta”, ha detto Merkel, ammettendo che la Germania non è riuscita ad adeguarsi sul fronte della deterrenza rispetto a Mosca per tempo. “Sulla trattativa, naturalmente nulla deve passare sopra la testa dell’Ucraina. Allo stesso tempo – ha tuttavia aggiunto – penso che i molti Paesi che sostengono l’Ucraina debbano decidere insieme a essa quando si potrà discutere con la Russia di una soluzione diplomatica. Non può essere solo Kiev a decidere. Quando questo succederà, non essendo più attiva in politica, non sono in grado di dirlo”.

Nuova Commissione Ue, chi vince e chi perde (e quanti voti avrà Vdl)

Nuova Commissione Ue, chi vince e chi perde (e quanti voti avrà Vdl)Roma, 23 nov. (askanews) – L’accordo fra i tre gruppi politici della ‘maggioranza Ursula’ (Ppe, S&D e Renew) al Parlamento europeo per sbloccare il processo di valutazione delle audizioni di conferma dei membri della nuova Commissione, raggiunto a Bruxelles nella notte tra il 20 e il 21 novembre, consentirà ora finalmente di passare all’ultima tappa prima dell’entrata in funzione del nuovo Esecutivo comunitario: il voto di fiducia della plenaria di Strasburgo il 27 novembre. Proviamo quindi a dare qualche risposta ad alcune domande: come si è usciti dall’impasse? Chi ha vinto e chi ha perso? Come sarà la navigazione con due maggioranze di Ursula von der Leyen?


Come si è usciti dall’impasse Il processo delle audizioni era rimasto a lungo in stallo a causa dei veti incrociati, da parte del Ppe sulla candidata socialista spagnola Teresa Ribera, e da parte di S&D e Renew contro la vicepresidenza esecutiva (ma senza contestarne il portafoglio) assegnata all’italiano Raffaele Fitto, membro del gruppo conservatore Ecr ma sostenuto dai Popolari come fosse uno dei loro. L’accordo è stato possibile grazie al fatto che il Ppe ha accettato, nel pomeriggio del 20 novembre, di firmare una ‘piattaforma di cooperazione’ che sostanzialmente conferma, in nove punti, le ‘linee guida’ programmatiche presentate da Ursula von der Leyen al Parlamento europeo il 18 luglio scorso. La sua rielezione per il secondo mandato alla presidenza della Commissione, con 401 voti della plenaria di Strasburgo, aveva come base quel programma, che viene ora rilanciato.


A questo punto, i veti incrociati avrebbero dovuto cadere, ma il Ppe ha continuato a pretendere da Ribera un impegno ‘chiaro e inequivocabile a dimettersi immediatamente dal Collegio dei commissari nel caso in cui vi sia qualsiasi accusa o procedimento legale (‘legal charge or proceeding’, in inglese, ndr) nei suoi confronti, in relazione ai tragici eventi della Dana’, l’inondazione di Valencia. Il Partido popular spagnolo applica la logica secondo cui la miglior difesa è l’attacco: accusa l’attuale ministra socialista della Transizione verde per sviare l’attenzione dalle responsabilità del governatore della Regione di Valencia, il popolare Carlos Mazón, nella sottovalutazione del pericolo, segnalato tempestivamente dalle agenzie del governo, e nella gestione dell’emergenza, che era di sua competenza. Mentre i Socialisti (sembra anche a seguito di un intervento diretto del premier spagnolo, Pedro Sanchez, sulla capogruppo S&D Iratxe García Pérez) erano già pronti a togliere il veto alla vicepresidenza di Fitto, il Ppe (o per meglio dire il Partido Popular, appoggiato dal capogruppo del Ppe Manfred Weber) si ostinava a pretendere che la lettera con il via libera finale per l’audizione di Teresa Ribera contenesse la condizione dell’impegno a dimettersi se un giudice spagnolo l’avesse anche solo indagata. L’impasse è stata risolta, dopo diverse ore, dal Servizio giuridico del Parlamento europeo, secondo cui il Ppe, pur votando a favore di Ribera, poteva allegare un ‘parere di minoranza’ al suo via libera formale. Il parere di minoranza non è vincolante, e non costituisce, in realtà, una condizione aggiuntiva rispetto agli obblighi previsti dal Codice di condotta (menzionato nella lettera del Ppe) a cui è sottoposto qualunque commissario europeo, incluso l’obbligo di dimettersi se lo chiede il presidente della Commissione europea (art. 17 del Trattato Ue).


Parallelamente, i Socialisti e i Liberali hanno chiesto e ottenuto di aggiungere anche loro un allegato alla lettera con il via libera formale per Fitto. I due gruppi ‘si attendono da lui che sia pienamente indipendente dal suo governo nazionale, come richiedono i Trattati Ue, e che si impegni pienamente ad applicare il meccanismo di condizionalità dello stato di diritto e a lavorare per il rafforzamento dello stato di diritto nell’Unione’. Anche qui, in realtà, non c’è alcuna condizione aggiuntiva che Fitto dovrebbe rispettare: ‘I membri della Commissione non sollecitano né accettano istruzioni da alcun governo’, prevede sempre l’art. 17 del Trattato Ue. Inoltre, l’applicazione da parte della Commissione del principio di ‘condizionalità’ (cioè il blocco dei finanziamenti comunitari, e in particolare dei fondi della politica di Coesione) nel caso in cui un paese membro non rispetti lo stato di diritto è un obbligo imposto dalla legislazione europea in vigore, e il rafforzamento dello stato di diritto dipende dal commissario designato titolare di questa competenza, che è l’irlandese (liberale) Michael McGrath. La ‘piattaforma di cooperazione’ tra Ppe, S&D e Renew non risolve il problema delle due maggioranze


L’accordo programmatico della ‘maggioranza Ursula’ riguarda l’impegno dei tre gruppi politici firmatari per lavorare all’attuazione delle nove priorità indicate, e in particolare ‘le sfide poste dalla situazione geopolitica, dal divario di competitività dell’Europa, dai problemi di sicurezza, dalla migrazione e dalla crisi climatica, nonché dalle disuguaglianze socio-economiche’, e si impegna anche a ‘promuovere le riforme necessarie, comprese le modifiche del trattato verso una Unione sempre più stretta’. Ma non è un ‘contratto di coalizione’ e non menziona in nessun punto un impegno (che il Ppe avrebbe rifiutato) a non tradire la ‘maggioranza Ursula’ e a non collaborare con l’estrema destra, in contrapposizione agli altri gruppi firmatari. Ed è ampiamente previsto che questo accadrà con i tentativi del Ppe, dei Conservatori e dell’estrema destra di fermare o annacquare le nuove misure del Green Deal, o di fare marcia indietro su quelle già in vigore; per non parlare dello scontro che sicuramente si verificherà con i Socialisti e i Liberali sulle nuove proposte relative alla deportazione fuori dall’Ue (in ‘paesi terzi sicuri’) dei migranti irregolari in attesa di rimpatrio e persino di quelli che avrebbero diritto all’asilo nell’Unione. Basta guardare a quello che è successo la settimana scorsa sul regolamento contro la deforestazione importata, quando il Ppe ha spregiudicatamente proposto e fatto approvare, con l’appoggio di tutte le destre, degli emendamenti che avrebbero riaperto un testo legislativo già adottato, approfittando di una proposta della Commissione di ritardarne di un anno l’applicazione. Il Consiglio Ue ha bloccato il tentativo (tra gli applausi delle Ong ambientaliste come Greenpeace e il Wwf), e l’iniziatrice degli emendamenti, la tedesca Christine Schneider (Cdu) ha accusato gli Stati membri di essere ‘irresponsabili’, e di creare con la loro opposizione alla marcia indietro su un testo già approvato, ‘un terreno fertile per prosperare per tutte le forze estremiste in Europa’. Eh sì, lei e il Ppe hanno fatto degli accordi con la destra più estrema, ma sono i governi che si oppongono a questi accordi che favoriscono la destra più estrema… E’ evidente che il Ppe di Manfred Weber vuole mantenere le mani libere, determinare ogni volta, per ogni singolo dossier legislativo, con quale maggioranza adottare gli emendamenti e le posizioni finali del Parlamento europeo, con la politica ‘dei due forni’, come l’aveva definita in altri tempi, in Italia, Giulio Andreotti. E gli altri due gruppi della ‘maggioranza Ursula’ non potranno opporsi, non ne hanno più la forza: anche se votassero tutti insieme, S&D, Renew, i Verdi e la Sinistra non hanno i numeri, sono sotto la soglia della maggioranza assoluta nella nuova legislatura. E il ‘cordone sanitario’, l’esclusione dell’estrema destra dai negoziati politici e legislativi? All’inizio della legislatura è stato applicato alla distribuzione, in proporzione ai seggi di ogni gruppo, degli incarichi istituzionali, le presidenze e vicepresidenze del Parlamento e delle sua commissioni, che ha effettivamente escluso i due gruppi di estrema destra (i sovranisti dell’Esn e i ‘Patrioti’). Ma i Conservatori dell’Ecr (guidati dagli italiani di Fdi) non riconoscono la legittimità di questo meccanismo, e dunque sono il ‘ponte’ ideale per aggirarlo. Il Ppe si accorda con l’Ecr, e l’Ecr può chiedere il sostegno dell’estrema destra. Il Cordone sanitario di fatto non c’è più, perché può essere regolarmente aggirato. Il problema, a questo punto, diventa quello della crisi di fiducia tra forze politiche sedicenti alleate, della stabilità della dinamica legislativa compromessa. Come hanno segnalato nei giorni scorsi diversi eurodeputati di centrosinistra, quale credibilità potranno avere gli accordi e i compromessi raggiunti con il Ppe nei lavori delle commissioni parlamentari, se poi in plenaria ci si può attendere i voltafaccia opportunisti del Ppe che si allea con i Conservatori e, con la loro mediazione, con l’estrema destra? L’abbraccio tra il Ppe e l’Ecr Una questione che resta per ora aperta è la motivazione dietro l’apertura, per usare un eufemismo, del Ppe ai Conservatori. C’è senza dubbio il ruolo dell’Ecr, già citato, come mediatore affidabile verso l’estrema destra. Ma quest’abbraccio, più che apertura, può fare pensare anche a un tentativo di allargare il gruppo dei Popolari, ai Conservatori ‘melonizzati’; quelli che hanno mostrato, cioè, una moderata e non incondizionata conversione pro europea. Questo avvicinamento, comunque riguarda gli italiani di Fdi, e magari anche i cechi e i belgi dell’Ecr; ma certamente non i polacchi del PiS (20 seggi), il partito di estrema destra ‘Legge e Giustizia’ arcinemico dell’attuale premier di Varsavia ed ex presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk. Il popolare Tusk ha scalzato il PiS dal potere in Polonia, e non accetterebbe mai un suo ipotetico ingresso nel Ppe. D’altra parte, l’accordo sempre più stretto fra il Ppe e l’Ecr serve sia all’Italia che a von der Leyen per mantenere buoni rapporti di collaborazione tra Bruxelles e i paesi in cui i Conservatori sono al governo. Lo spostamento a destra del Ppe sembra poi avere un effetto strano per alcuni eurodeputati, quasi una perdita di equilibrio, come può accadere in uno sbandamento. Quello già citato di Christine Schneider a proposito della deforestazione non è l’unico caso. Giovedì scorso, il capo della delegazione italiana del Ppe Fulvio Martusciello (Fi) ha dichiarato testualmente: ‘È chiaro che chi non vota la Commissione il 27 novembre è fuori dalla maggioranza, e chi è fuori dalla maggioranza deve dimettersi dagli incarichi ricevuti. E quelli dei Verdi sono davvero tanti’. Stranamente, l’eurodeputato di Fi non aveva sollevato la stessa questione a luglio, quando l’Ecr, che aveva votato contro von der Leyen, ha preso tutti i posti istituzionali che spettavano al gruppo. ‘Si leggono strani aut aut da parte di esponenti del Ppe come l’europarlamentare Martusciello, che adesso impartisce obblighi e divieti a chi non voterà la Commissione von der Leyen. È doveroso allora ricordare al collega che la formazione della maggioranza europea non è collegata ai ruoli a cui lui fa riferimento. Questi ultimi sono invece il frutto di una decisione democratica che si prende all’interno del Parlamento in base alle percentuali di presenza di ogni gruppo. I Verdi, infatti, ricoprivano tali incarichi anche nella scorsa legislatura, quando non erano in maggioranza’, ha ricordato l’europarlamentare italiana dei Verdi Benedetta Scuderi, e ha sottolineato: ‘Sono parole che appaiono come minacce inaccettabili allo svolgimento democratico della funzione parlamentare’. Vincitori e perdenti Da questa vicenda escono vincitori soprattutto il Ppe, con la strategia opportunista e spregiudicata di Weber, e l’Ecr di Giorgia Meloni, per le ragioni che abbiamo esposto sopra; guadagnano politicamente, almeno in parte, anche i partiti di estrema destra, che ora possono aspettarsi di poter finalmente partecipare, anche se solo per alcuni dossier (quando lo decideranno i Popolari) alla dinamica legislativa del Parlamento europeo, da cui finora erano rimasti esclusi. Escono invece perdenti i Verdi: avevano votato per il secondo mandato di von der Leyen, si credevano parte della ‘maggioranza europeista’ che l’aveva rieletta, ma la presidente della Commissione, a quanto si sa, non li ha degnati neanche di una visita, un colloquio, un gesto di attenzione, durante tutto il processo delle audizioni. Il Ppe, evidentemente con il suo assenso, ha operato con determinazione per sostituire all’appoggio esterno dei Verdi quello, più utile per i disegni di Weber, dell’Ecr, o almeno della sua parte più moderata, che comprende in primis gli italiani di Fdi di Giorgia Meloni (24 seggi), e poi i deputati belgi (3 seggi) e i cechi (3 seggi) del gruppo (che a luglio avevano già votato per von der Leyen). I Verdi decideranno lunedì a Strasburgo se votare o no la fiducia alla nuova Commissione, ma a questo punto il ‘no’ appare quasi scontato. In misura minore, anche i Socialisti e Democratici hanno subito una sconfitta politica. E’ vero che hanno ottenuto la cosa per loro più importante, il via libera a Ribera, e poi rivendicano di aver costretto il Ppe a confermare la ‘maggioranza Ursula’ firmando la ‘piattaforma di cooperazione’, anche se con i limiti che abbiamo visto. Ma hanno dovuto rinunciare alle condizioni che avevano posto per il via libera a Fitto (togliergli il ruolo ‘gerarchico’ della vicepresidenza esecutiva, visto come un riconoscimento ‘de facto’ dell’entrata dell’Ecr in maggioranza), e in più ora sono divisi sulla fiducia alla nuova Commissione, con i francesi (13 seggi) che probabilmente voteranno ‘no’, e forse anche i tedeschi (14 seggi), i belgi (4 seggi) e qualche altra delegazione nazionale. I Liberali di Renew non possono certo parlare di una vittoria politica, ma hanno limitato i danni e avuto delle compensazioni maggiori rispetto al gruppo S&D. Su Fitto avevano la stessa posizione dei Socialisti, e come loro avevano insistito per rilanciare la piattaforma programmatica col Ppe. Ma possono rivendicare in più di aver ottenuto il ridimensionamento, su cui avevano molto insistito, del portafoglio dell’ungherese Oliver Varhelyi, unico commissario designato appartenente a un gruppo di estrema destra (quello dei ‘Patrioti’ di Viktor Orban), con le competenze tolte a lui che saranno assegnate (sempre che von der Leyen accetti la richiesta del Parlamento europeo) alla liberale belga Hadja Lahbib, commissaria designata alla Preparazione e gestione delle crisi e alla Parità. Lahbib dovrebbe avere ora la responsabilità per la gestione delle crisi sanitarie, per la lotta alla resistenza antimicrobica e per la salute e i diritti riproduttivi, prelevati dal portafoglio della Sanità e benessere degli animali di Varhelyi. Va ricordato inoltre che nella nuova Commissione i Liberali saranno sovrarappresentati rispetto ai Socialisti e ai risultati elettorali, con due vicepresidenze esecutive: quella dell’estone Kaja Kallas, nuovo Alto Rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune, e quella del francese Stéphane Séjourné, che avrà il portafogli intitolato Prosperità e Strategia industriale (ovvero le competenze nel Mercato unico e nella Politica industriale). Esce sconfitto, infine, il Parlamento europeo tutto intero, per il colpo che hanno subito il suo prestigio democratico e la sua credibilità politica a causa della ‘farsa’ di queste audizioni (così l’hanno definita sia l’eurodeputata del M5S Valentina Palmisano, che il capo delegazione leghista Paolo Borchia, annunciando il voto contrario alla fiducia). Le audizioni individuali di conferma dei commissari designati sono una prassi ormai consolidata, ma non prevista dai Trattati Ue, e conquistata politicamente come nuova prerogativa democratica dal Parlamento europeo, a partire dal 1995 (Commissione Santer), sul modello delle audizioni al Congresso degli Stati Uniti per le nomine presidenziali a cariche giudiziarie ed esecutive. Negli anni scorsi erano state viste come un buon metodo democratico per verificare le competenze tecniche dei commissari designati, testare la loro personalità e l’abilità politica, chiedere e ottenere da loro impegni sulle iniziative da prendere e sulle posizioni da tenere durante il loro mandato, e anche come una sorta di parziale compensazione per l’assenza del diritto d’iniziativa legislativa, che non è mai stata attribuita al Parlamento europeo. Ma questa volta le audizioni sono state piegate a logiche estranee alla loro ragion d’essere, sono risultate eccessivamente politicizzate dai gruppi e rese ostaggio di scontri politici nazionali, soprattutto di quello in corso in Spagna. Come finirà al voto di fiducia? Il 27 novembre, a Strasburgo, Ursula von der Leyen rischia di avere tra i 40 e i 50 voti in meno per la fiducia alla sua nuova Commissione, rispetto ai 401 voti che aveva avuto alla sua rielezione per il secondo mandato a luglio. Rivediamo i numeri: dovrebbe guadagnare una trentina di voti in più dall’Ecr (di cui 24 da Fdi, mentre non vanno contati come voti aggiuntivi i tre dei Belgi e altri tre dei cechi, che già l’avevano votata a luglio), ma non dai 20 polacchi del Pis che confermeranno voto contrario di luglio. Dovrebbero mancare poi, rispetto a luglio, i 53 dai Verdi e forse 20-30 dai Socialisti (13 dai francesi, forse 14 dai tedeschi e 4 dai belgi). Non è esclusa qualche defezione anche tra i Liberali di Renew e persino nel Ppe. Ma la dinamica della maggioranza semplice dei presenti, che è sufficiente per la fiducia, è diversa da quella della maggioranza assoluta (degli aventi diritto) che era richiesta per la rielezione di von der Leyen: questa volta, le astensioni non giocano contro, basterà che i voti favorevoli espressi siano di più di quelli contrari, e la nuova Commissione entrerà in funzione, come previsto, già il primo dicembre. di Lorenzo Consoli e Alberto Ferrarese

Libano, attacchi israeliani nel centro di Beirut: almeno 11 morti

Libano, attacchi israeliani nel centro di Beirut: almeno 11 mortiRoma, 23 nov. (askanews) – Attacchi israeliani hanno provocato almeno 11 morti nel centro di Beirut, in Libano. Lo scrive oggi Haaretz.


Le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno affermato di aver attaccato diverse volte nelle ultime 24 ore Dahiyeh con l’obiettivo di disarticolare centri di comando di Hezbollah, oltre che un deposito d’armi e altre infrastrutture del gruppo considerato “terrorista”. “Tutte le strutture attaccate sono state create da Hezbollah nel cuore della popolazione civile”, si legge nell’annuncio dell’Idf. “Prima del’attacco, diversi passi sono stati fatti per ridurre la possibilità di colpire civili, comprese osservazioni d’intelligence precise e avvertimenti preventivi per evacuare la popolazione nell’area”, ha continuato l’Idf. Colpito è stata l’area di Dahiyeh. Secondo il canale di notizie saudite al Hadath, nel mirino era il capo delle operazioni di Hezbollah Muhammad Haydar. (foto archivio)

Usa s’attendono presto settimo test nucleare Nordcorea

Usa s’attendono presto settimo test nucleare NordcoreaRoma, 23 nov. (askanews) – Gli Stati uniti ritengono che la Corea del Nord sia pronta a effettuare un possibile settimo test nucleare e aspetta “solo una decisione politica” per procedere. Lo ha affermato Alexandra Bell, vice assistente del segretario di Stato per il controllo degli armamenti, la deterrenza e la stabilità, rilanciando una valutazione che nelle ultime settimane è stata più volte già condivisa dall’intelligence sudcoreana.


“Gli Stati uniti valutano che la Repubblica democratica popolare di Corea (DPRK) abbia preparato il sito di test di Punggye-ri per un potenziale settimo test nucleare esplosivo e stia aspettando solo una decisione politica per procedere”, ha affermato Bell durante un forum organizzato dalla Korea Society, secondo quanto riporta l’agenzia di stampa Yonhap. “Un tale test costituirebbe – ha proseguito – una grave escalation delle tensioni nella regione e rappresenterebbe un rischio per la sicurezza di tutto il mondo”. Bell ha criticato i test di armi effettuati da Pyongyang quest’anno, incluso quello di un nuovo missile balistico intercontinentale (ICBM) Hwasong-19, considerandoli una violazione di numerose risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. “Ogni lancio di missili, ogni discorso di minaccia nucleare – ha detto ancora – sono indicazioni che la DPRK è determinata a progredire nei suoi programmi illegali di armi di distruzione di massa e missili balistici, sottolineando la chiara necessità di rafforzare e adattare ulteriormente la nostra alleanza con la Repubblica di Corea (Corea del Sud, ndr.) per essere meglio preparati a difenderci da potenziali attacchi, incluso l’impiego nucleare”. In questo senso, ha aggiunto, “l’impegno degli Stati uniti per la difesa della Repubblica di Corea rimane ferreo e il nostro obiettivo resta la completa denuclearizzazione della penisola coreana”, mentre la risposta a Pyongyang in caso di qualsiasi attacco con armi nucleari da parte del Nord contro il Sud sarà affrontato con una risposta “rapida, schiacciante e decisiva”.

M5s, Fico: Grillo è benvenuto alla costituente, non ci sarà una scissione

M5s, Fico: Grillo è benvenuto alla costituente, non ci sarà una scissioneRoma, 23 nov. (askanews) – “Beppe Grillo e io insieme abbiamo fatto in 20 anni tante cose e tanta strada insieme. Ci siamo sempre sentiti, anche se nelle ultime settimane no. Lui è il fondatore e il garante. Ed io credo che è bene che tutti partecipino e possano dire fino in fondo come la pensano. Io non so se verrà. Ma il Movimento Cinque Stelle è la sua casa: se verrà saremo tutti contenti”. D’altra parte fra Beppe Grillo e Giuseppe Conte “pec e mail sì ce ne sono state ma carte bollate finora no…” e “in ogni caso noi ora dobbiamo dare valore a tutti gli iscritti”. Parola dell’ex presidente della Camera Roberto Fico – presidente del comitato di garanzia M5s- che a poche ore dall’apertura della prima assemblea costitiuente in presenza del Movimento Cinque Stelle, in una intervista ad Agorà week end su Rai3, si dice convinto che i pentastellati non rischino una scissione. “No -risponde secco- io credo che nel Movimento Cinque stelle possano sempre partecipare tutti”.


“Il tempo passa e le cose cambiano – dice ancora Fico, fra i fondatori a Napoli dei meet up cinque stelle che l’assemblea costituente sembra destinata ad archiviare- ma anche si rinforzano: non abbiamo perso l’anima”. E fra le cose da cambiare, a suo giudizio, c’è anche il tetto ai due mandati finora applicato dai Cinque Stelle: “io credo possa essere modificata perchè siamo oggi in una nuova fase, poi decideranno – gli iscritti- come è giusto che sia”. Roma, 23 nov. (askanews) – Quanto alla collocazione M5s nel centrosinistra e al rapporto con il Pd, “non c’è dubbio – afferma Fico- che molti dei temi che porta avanti Elly Schlein sono temi in cui mi ritrovo e si ritrova anche il Movimento. Detto questo, il Movimento Cinque Stelle è profondamente diverso dal Pd. Ha un’altra storia e un’altra identità e sono i territori a decidere anche la questione delle alleanze. L’importante è che noi ci riconosciamo e ci definiamo progressisti: perchè sono i nostri temi che sono progressiti. Dall’acqua pubblica al consumo zero del suolo pubblico. Parlare con il Pd può aiutarci sicuramente a realizzare i nostri obbiettivi su questi temi ed è per questo il nostro interlocutore privilegiato”.

Usa, Trump ha scelto Scott Bessent come segretario al Tesoro

Usa, Trump ha scelto Scott Bessent come segretario al TesoroRoma, 23 nov. (askanews) – Secondo due fonti a conoscenza della questione, citate dalla Cnn, il presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump avrebbe offerto il ruolo di segretario al Tesoro al gestore di hedge fund Scott Bessent. Scott Bessent è il fondatore della società di investimento Key Square Group ed è ardente promotore del controllo politico sulla Federal Reserve (Fed). Citato tra i favoriti per questa carica, Bessent, amico intimo di lunga data della famiglia Trump, giocherebbe un ruolo essenziale nell’attuazione del programma economico del presidente eletto degli Stati Uniti ma anche nel controllo del debito pubblico.

Ue, dopo nomina Fitto possibile avvicinamento a Ppe di Fdi (ma senza PiS)

Ue, dopo nomina Fitto possibile avvicinamento a Ppe di Fdi (ma senza PiS)Roma, 23 nov. (askanews) – La nomina di Raffaele Fitto come vicepresidente esecutivo della Commissione europea ha sdoganato i Conservatori di Ecr (o almeno una parte) e potrebbe segnare l’avvio di un percorso di avvicinamento di Fratelli d’Italia al Partito popolare europeo. Non sarà certo un ingresso ufficiale, almeno a breve termine, ma se potrà esserci una prospettiva un primo segnale si avrà nella votazione per la “fiducia” al von der Leyen bis.


Partiamo dall’analisi della situazione attuale. Il Ppe, sotto la guida di Manfred Weber, ha compiuto un deciso spostamento a destra della sua linea politica e non sembra che il ruolo del tedesco (che punta alla conferma come presidente nel prossimo aprile) possa essere al momento messo a rischio dagli oppositori interni, in primo luogo il greco Kyriakos Mitsotakys e il polacco Donald Tusk. Dunque i Popolari si sono avvicinati ai Conservatori e sono stati decisivi per il sostegno a Fitto, considerato “uno di noi” in quanto democristiano di nascita e formazione. Cosa che l’italiano ha sempre rivendicato con orgoglio, anche con la stessa Meloni. “Fitto potrebbe essere il gancio con cui attrarre Fdi nell’orbita Ppe, sganciandolo dalla parte più estrema e sovranista di Ecr”, sottolinea un europarlamentare popolare. Il riferimento è in primo luogo al PiS polacco, la seconda forza della famiglia Ecr, tendenzialmente più vicina ai “Patriots” di Viktor Orban, Marine Le Pen e Matteo Salvini. Meloni a breve dovrebbe cedere il timone dei Conservatori a Mateusz Morawiecki, cosa che le permetterà di avere le mani maggiormente libere rispetto alla linea Ecr. Sarà interessante, a questo proposito, vedere come voterà Ecr il prossimo 27 novembre: i Fratelli d’Italia diranno “sì” a von der Leyen – come promesso dalla presidente del Consiglio alla tedesca in cambio del ruolo assegnato a Fitto – e in queste ore stanno cercando di convincere anche i compagni di gruppo a fare altrettanto. Il PiS, però, non sembra intenzionato a seguirli, preferendo schierarsi all’opposizione. Dunque più vicini ai Patriots, che hanno acquistato vigore dopo l’elezione di Donald Trump, puntano a rafforzarsi e ad essere gli interlocutori del tycoon nel Vecchio Continente. “E’ stato un anno di svolta per la politica patriottica. Abbiamo vinto le elezioni europee in Ungheria, il presidente Donald Trump ha vinto le elezioni negli Stati Uniti e ora abbiamo formato il partito Patrioti per l’Europa. Allacciate le cinture, il 2025 sarà un anno fantastico”, ha dichiarato Orban pochi giorni fa. I suoi voteranno contro l”odiata’ Vdl, compresa la Lega, a Bruxelles nettamente distante dalla presidente del Consiglio. Paolo Borchia, capo delegazione leghista, ha definito la Commissione “di qualità e competenze basse” annunciando che “non c’è la disponibilità da parte della Lega a votarla”. Se dunque Fdi voterà “sì” come il Ppe e il PiS “no” come i Patriots potrebbe essere il segnale che c’è filo da tessere per i pontieri. Così come un segnale potrebbe essere il passo in avanti del ministro Luca Ciriani – uno che non parla mai a sproposito – che ha aperto alla possibilità di “spegnere la fiamma dal simbolo Fdi”. Sarà un caso, ma è quello che ha sempre auspicato il Ppe. “Sicuramente Ppe e Fdi potranno lavorare insieme, ma per il momento non ci sono le condizioni per un ingresso nei Popolari, che comunque potrebbe trovare l’opposizione di Forza Italia, il cui interesse, e forse ragione di vita, è essere l’unico interlocutore del partito in Italia”, conclude una fonte europea.


Di Alberto Ferrarese e Lorenzo Consoli

Italia-Argentina, l’abbraccio con Milei che allontana Meloni dall’Ue

Italia-Argentina, l’abbraccio con Milei che allontana Meloni dall’UeBuenos Aires, 23 nov. (askanews) – Dal balcone della Casa Rosada l’Europa sembra lontanissima, più degli 11 mila chilometri che separano Buenos Aires da Bruxelles. Mercoledì 21 novembre, mentre si decideva (positivamente) il destino di Raffaele Fitto, la presidente del Consiglio si affacciava al terrazzo reso celebre da Evita Peron insieme a Javier Milei, salutando a braccia alzate i passanti.


La sosta in Argentina di ritorno da Rio de Janeiro è stata politicamente ben più significativa del G20, summit dal formato che non facilita le decisioni concrete, quest’anno incentrato in particolare sulla lotta alla povertà e alla fame, con l’attenzione particolare data dal presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva al Sud del mondo. Nella due giorni di lavori Meloni ha avuto però modo di parlare con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, perorando la causa di Fitto e assicurandole un’altra volta il voto favorevole di Fdi alla sua squadra. Però, come si diceva, più rilevante è stato l’incontro con il turbo-liberista Milei, l’”inviato” al G20 di Donald Trump, l’economista con la motosega, come raffigurato anche in una statuetta donata alla premier. La visita ha sancito il “feeling” tra i due, prima in una cena privata, poi con l’incontro alla Casa Rosada.


Nelle successive dichiarazioni congiunte (rigorosamente senza possibilità di domande) Milei, primo leader a incontrare Donald Trump dopo l’elezione del tycoon, ha rilanciato la sua idea di una “alleanza”, quella che già è stata definita “internazionale sovranista”. A Mar-a-Lago, residenza di Trump, aveva ipotizzato un asse costituito da Argentina, Usa, Italia e Israele. Con Meloni non ha definito il formato, ma ha auspicato una collaborazione tra coloro che hanno “obiettivi comuni”: non solo Italia e Argentina “ma anche altri Paesi del mondo libero che condividono questi valori”. Un’alleanza di “nazioni libere, unite contro la tirannia e la miseria. Perché l’Occidente si trova nelle tenebre” e ha bisogno di “noi che difendiamo la libertà anche se siamo ancora pochi. Possiamo fare luce e segnalare la strada” in un mondo segnato da una “mancanza di buon senso” e da “organismi internazionali sclerotici”. Riferimento chiaro all’Onu, alle istituzioni finanziarie internazionali, ma anche a quell’Unione europea che Trump mira a ‘scavalcare’ se non scardinare, usando come testa di ponte Viktor Orban e (forse) la leader italiana. La quale, da parte sua, sembra sposare in pieno la piattaforma Trump-Milei, sia nella gestualità (gesti di assenso, applausi, abbracci) sia con le parole. Con Milei, ha spiegato, la accomuna “l’amore per la libertà” e una “unità di vedute molto forte su molti dossier”, come la guerra in Ucraina, il conflitto in Medio Oriente, la crisi in Venezuela. Il leader argentino, ha aggiunto parlando brevemente in spagnolo, è un uomo “valente” e “amico dell’Italia”, con cui c’è una “condivisione politica” tra “due leader che si battono per difendere l’identità dell’Occidente e i punti cardine della sua civiltà: la libertà e l’uguaglianza delle persone, la democraticità dei sistemi, la sovranità delle nazioni”. Dunque c’è “molto più” di “una comune cooperazione tra nazioni: c’è la consapevolezza di vivere in un tempo difficile, la responsabilità che quel tempo difficile impone, cioè la forza delle idee e il coraggio che serve per difendere quelle idee”.


“Argentalia”, è stato il titolo di apertura del quotidiano “La Prensa” il giorno dopo. Sicuramente meno Europalia. di Alberto Ferrarese e Lorenzo Consoli

Da Il mostro a Bar sport: quando il caffè espresso si prende la scena

Da Il mostro a Bar sport: quando il caffè espresso si prende la scenaMilano, 23 nov. (askanews) – L’espresso, interpretazione italiana del caffè diffusa in tutto il mondo, è protagonista di tante pellicole cinematografiche in scene che nel tempo sono diventate dei veri e propri cult. La scenografia è, quasi sempre, il bar, luogo in cui si svolge la commedia della vita e dove si incontrano personalità diverse, unite dal rito della tazzina. A celebrare questo connubio è il Consorzio promozione caffè, che riunisce aziende che producono e commercializzano diverse tipologie di caffè oltre ai produttori di macchine professionali, in occasione dell’Espresso day, che cade il 23 novembre.


“Se il caffè è da sempre legato allo stile di vita italiano, l’espresso è il simbolo che più si lega anche alla nostra storia – dichiara Michele Monzini, presidente di Consorzio promozione caffè – Oltre ad averlo inventato, abbiamo saputo migliorarlo, adattarlo a nuove abitudini di consumo, rinnovarlo, senza perdere il gusto della tradizione e l’artigianalità che hanno reso grandi nel mondo le nostre aziende, dalle torrefazioni alle produttrici di macchine. Non è un caso che il 62% degli italiani lo consideri il caffè più legato allo stile di vita del Belpaese anche all’estero: bere un espresso, in ogni parte del mondo, significa ritrovare la passione, la ritualità e la gestualità che circondano da sempre questa bevanda così amata”. Dal brevetto del 1884 di Angelo Moriondo della prima macchina da bar in grado di estrarre un caffè rapidamente (come un treno espresso, come recitava un celebre manifesto pubblicitario del 1922) a quello del 1948 della macchina a leva che diede la caratteristica crema color nocciola, fino alle rivisitazioni più innovative dei giorni nostri, il genio e la creatività italiani hanno accompagnato l’evoluzione dell’espresso ai giorni nostri. E sul grande schermo, il caffè è un pretesto per raccontare ideali e sentimenti: con Totò ne La banda degli onesti, diventa la metafora per spiegare il capitalismo a un ingenuo Peppino, con lo zucchero che si trasforma nell’ambìto capitale desiderato da approfittatori e disonesti, mentre in Vieni avanti cretino si mescola alla discussione di una coppia, confondendo il cameriere Lino Banfi e dando vita a improbabili caffè corretti “con humour” e “con utopia”. Ma è anche lo spunto per mettere in scena altri simboli tipicamente italiani, come il tifo calcistico: nel film Il tifoso, l’arbitro e il calciatore, le tazzine del bar “Forza lupi” sono rigorosamente giallorosse, per obbligare i tifosi avversari, in particolare i laziali, a baciare i colori della Roma.


Non può mancare la rappresentazione del caffè espresso come un rituale: per caricarsi prima di un lungo viaggio, come quello rocambolesco che l’emigrato Pasquale Amitrano, alias Carlo Verdone, dovrà affrontare per tornare a votare nel suo paese natale in Bianco rosso e Verdone, ma anche per conoscersi, come fanno i due protagonisti de Il giorno in più. Un’abitudine irrinunciabile e buona per tutte le tasche, da quelle con pochi spiccioli come quelle di Francesco Scianna e Ficarra in Baaria, che si dividono un caffè al bancone per non ordinarne uno a testa, a quelle vuote di Roberto Benigni ne Il mostro, che riesce a fare colazione con caffè e cornetto rubandole con scaltrezza agli altri avventori del bar. Il cinema ci ha provato in diverse occasioni a raccontare le infinite interpretazioni che gli italiani fanno del caffè quando lo bevono al bar, tra chi non accetta un espresso che non sia preparato a regola d’arte e che non abbia il caratteristico colore nocciola tendente al testa di moro, come Claudio Bisio in Bar sport, e chi non riesce a fare a meno di abbondare con lo zucchero, nonostante lo sguardo del barista, come Paola Cortellesi in C’è ancora domani. Senza dimenticare le innumerevoli variazioni (marocchino, macchiato, mokacioc, con ginseng o corretto grappa) che in Benvenuti al Nord scoraggiano Alessandro Siani dall’ordinare un espresso in un bar di Milano, facendolo ripiegare su un bicchiere d’acqua. Perché il caffè è un’esperienza che ognuno vive a modo proprio, ma che unisce in un grande rito collettivo. Proprio come il cinema.

Vino, Il Borro sostiene il progetto “Careggi Green-Ospedale Biofilico”

Vino, Il Borro sostiene il progetto “Careggi Green-Ospedale Biofilico”Milano, 23 nov. (askanews) – Il Borro, azienda agricola biologica e vitivinicola di proprietà della famiglia di Ferruccio Ferragamo, rafforza il suo impegno verso la sostenibilità supportando la creazione di aree verdi all’interno dell’Ospedale di Careggi a Firenze, in collaborazione con la Fondazione Careggi ETS. Il progetto, intitolato “Careggi Green – Ospedale Biofilico”, è ideato da Pnat, azienda che si occupa di architettura biofilica e rigenerazione urbana. L’obiettivo è la creazione di spazi verdi all’interno del complesso ospedaliero, pensati per migliorare il benessere psicofisico di pazienti, personale sanitario e visitatori. Numerosi studi dimostrano infatti come la presenza di aree biofiliche in contesti sanitari favorisca una guarigione più serena e naturale, migliorando la qualità della vita di chi frequenta questi ambienti.


“Le aziende oggi possono vincere la loro sfida solo se riescono a vivere un vero senso di comunità e a creare nuove forme di collaborazione” ha dichiarato Ferruccio Ferragamo, sottolineando che “l’Italia, ricca di bellezze naturali e culturali, deve puntare a diventare un’icona di sostenibilità, unendo responsabilità, etica e innovazione. Sostenere ‘Careggi Green’ è un esempio di come la nostra azienda si impegni a migliorare concretamente la qualità della vita di chi vive questi spazi ogni giorno – ha concluso – con la speranza di essere i capifila di una lunga serie di imprese nel territorio che, ci auguriamo, prendano parte a questa iniziativa”. Nello specifico il progetto supportato da “Il Borro” prevede la costruzione di una fabbrica dell’aria dentro il reparto di maternità di Careggi.


La Tenuta che dal 1993 è di proprietà della famiglia di Ferruccio Ferragamo si estende nel bacino del Valdarno Superiore su di una superficie di 1.100 ettari interamente a biologico dal 2015, di cui 33 di uliveti e 85 di vigneti dai quali si producono 14 etichette.