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Tag: askanews

Usa2024, Super Tuesday: Biden e Trump verso un nuovo duello a novembre

Usa2024, Super Tuesday: Biden e Trump verso un nuovo duello a novembreRoma, 6 mar. (askanews) – L’ufficializzazione delle candidature per la corsa alla Casa Bianca si fa sempre più vicina. E se per Joe Biden appare una pura formalità, che si scontra soltanto con il voto di protesta degli arabo-americani democratici sul conflitto in Medio Oriente, per l’ex presidente Donald Trump la nomination repubblicana ha ricevuto un deciso impulso dal Super Tuesday, dove ha conquistato 14 dei 15 stati in palio, avvicinandosi al traguardo di 1.215 delegati necessari. L’unica sfidante, Nikki Haley, gli ha rubato l’occasione dell’en plein vincendo a sorpresa il Vermont.


Ma il Super Tuesday è stato, senza ombra di dubbio, dominato da Biden e Trump che hanno raccolto un gran numero di delegati nelle primarie che si sono tenute in 15 stati più il caucus delle Samoa americane (unica sconfitta di Biden, che ha ceduto per 51 voti su 91 i quattro delegati assegnati al “sorpreso” Jason Palmer). Si è votato in Maine, Alaska, Alabama, Arkansas, Minnesota, Colorado, Tennessee, Oklahoma, Massachusetts, Texas, California, Utah (dove non ci sono ancora risultati ufficiali per i GOP), Virgina, Vermont e North Carolina. Biden e Trump hanno conquistato anche i due stati con il numero più alto di delegati, California (169) e Texas (161). Da segnalare la bassissima affluenza, addirittura all’8% in California.


Ad oggi in campo repubblicano Trump ha ottenuto 961 delegati, contro gli 86 di Haley. Per Biden si contano 1.501 delegati (la soglia per la nomination ufficiale è 1.968 su 3.934). E il conteggio per l’ufficializzazione riprenderà già martedì prossimo quando si terrà una nuova serie di primarie, anche in Georgia e Mississipi. Donald Trump, che ha lasciato la Casa Bianca da perdente, si sta avvicinando all’appuntamento di novembre con sempre più assi nella manica: dai rinvii dei numerosi processi a suo carico a dopo il voto, alla crescita nei sondaggi, all’assenza di un vero rivale in casa repubblicana. Il miliardario ha festeggiato la vittoria al Super Tuesday dal resort di Mar-a-Lago, in Florida, dove ha parlato di “una notte fantastica, un giorno fantastico” senza nominare Haley o accennare a lei: “Lo chiamano Super Tuesday per un motivo”, ha detto aggiungendo che “faremo qualcosa che francamente nessuno ha mai fatto da molto tempo”. E tornando poi sui temi a lui cari, come quello dell’immigrazione, per cui ha parlato di “un’invasione”.


Biden, l’unico che ormai può fermare l’avanzata di Trump, ha sostenuto l’importanza di evitare una rielezione del tycoon: “Questa è una (opportunità) che capita una volta ogni generazione per noi di essere in grado di resistere e affrontare l’estrema divisione e violenza dei repubblicani” e “se perdiamo queste elezioni, tornerete con Donald Trump”. “Il modo in cui parla, il modo in cui ha agito, il modo in cui ha affrontato la comunità afroamericana, penso, sia stato vergognoso”, ha aggiunto. “I risultati di stasera lasciano al popolo americano una scelta chiara: continueremo ad andare avanti o permetteremo a Donald Trump di trascinarci indietro nel caos, nella divisione e nell’oscurità che hanno definito il suo mandato?”, ha domandato Biden in un comunicato, chiamando i suoi elettori a sostenerlo da qui a novembre, facendo crescere il suo indice di gradimento che resta basso.


E, spina nel fianco del presidente, resta il voto di protesta, “uncommitted”, degli elettori che non perdonano a Biden il sostegno a Israele nell’offensiva a Gaza. Un elemento da non sottovalutare in vista del voto di novembre, che si prevede sul filo di lana e molto serrato, deciso forse da decine di migliaia di voti negli stati chiave. La scorsa settimana in Michigan, più di 100.000 democratici hanno votato “uncommitted” e ieri in Minnesota sono stati circa 45mila, il 20%. (di Daniela Mogavero)

Birra Baladin: al via crowdfunding, superati i 2,5 mln in meno di 24 ore

Birra Baladin: al via crowdfunding, superati i 2,5 mln in meno di 24 oreMilano, 6 mar. (askanews) – In meno di 24 ore dall’avvio della raccolta di capitali, la birra artigianale Baladin di Teo Musso ha superato i 2,5 milioni di euro di raccolta da parte di oltre 800 investitori, quelli che il fondatore chiama “baladiniani”. Con il primo versamento sulla piattaforma Mamacrowd di Azimut di 250 euro alle 10.31 del 5 marzo, è partito il crowdfunding che nel 2028 dovrebbe portare l’azienda in borsa come aveva anticipato il figlio del fondatore, Isaac Musso qualche settimana fa: “Dopo il crowdfunding la nostra direzione preferita è quella di andare in borsa. E’ un tema che si porrà tra qualche anno ma la direzione è quella: sogniamo di fare un piccolo pezzo di storia. Io ho detto a Teo: ‘prima di andare in pensione facciamola ancora una cazzata insieme’”.


La risposta della comunità di baladiniani è stata tale che ieri è andato in down il sito di Mamacrowd per circa 3 ore, a conferma dell’interesse manifestato dalle oltre 3.000 iscrizioni all’early bird della campagna. Baladin punta ora a superare i 1.000 contributori e a raggiungere l’obiettivo massimo di 5 milioni di euro per sviluppare il proprio piano di sviluppo al 2028 che prevede una crescita significativa del fatturato del birrificio Baladin, la creazione di un ciclo dell’acqua circolare attraverso la costruzione di un pozzo e l’avvio di Open Hub, il primo birrificio condiviso d’Italia.


“La risposta alla campagna ‘Beer revolution’ sta andando oltre le più rosee aspettative. Il nostro principale obiettivo era quello di aprire il capitale dell’azienda a quante più persone possibile per crescere insieme alla nostra community e condividere il percorso di crescita che abbiamo immaginato – ha commentato Teo Musso, fondatore e Ceo del Birrificio Agricolo Baladin – Non cercavamo un singolo investitore ma una molteplicità di compagni di viaggio che condividessero con noi valori identitari e filosofia del birrificio. Avere a bordo, dopo poche ore, già 800 investitori è motivo di grande soddisfazione e ci conferma che la strada intrapresa è quella corretta. I Baladiniani non potevano farmi un regalo più grande per i miei 60 anni”.

Medio Oriente, negoziati in stallo: spunta l’ipotesi di una tregua di pochi giorni

Medio Oriente, negoziati in stallo: spunta l’ipotesi di una tregua di pochi giorniRoma, 6 mar. (askanews) – I negoziati per un cessate il fuoco tra Israele e Hamas sono in una fase di stallo, dopo due giorni di colloqui al Cairo, in Egitto, tra il movimento palestinese e i mediatori internazionali, disertati da Israele. Appare sempre più difficile, dunque, raggiungere l’obiettivo di una pausa nei combattimenti prima dell’inizio del mese sacro di Ramadan, il 10 marzo. Hamas, che ha confermato che nessun passo in avanti è stato compiuto durante gli ultimi incontri sulla proposta di tregua di sei settimane, ha comunque deciso di tenere la sua delegazione negoziale nella capitale egiziana per continuare a trattare. Mentre secondo il Wall Street Journal, i mediatori di Egitto, Qatar e Stati Uniti avrebbero proposto una tregua a breve termine della durata di pochi giorni, per guadagnare tempo e costruire fiducia tra Israele e il gruppo palestinese al governo a Gaza.


L’egiziano Al-Qahera News, vicino ai servizi di intelligence del paese, ha affermato che “i negoziati sono difficili ma stanno continuando”. Secondo funzionari che hanno familiarità con i colloqui, negli ultimi due giorni i mediatori internazionali hanno esercitato pressioni su Hamas affinché producesse un elenco di ostaggi da rilasciare come primo passo verso un accordo di cessate il fuoco graduale con Israele. Lo Stato ebraico in particolare avrebbe chiesto ad Hamas di presentare un elenco di 40 anziani, malati e donne in ostaggio da rilasciare con l’inizio del Ramadan. Fonti diplomatiche a Washington hanno spiegato che non è chiaro cosa abbia impedito al gruppo palestinese di produrre questo elenco, sottolineando che simili incertezze hanno finito per far crollare l’ultima speranza di tregua entro pochi giorni.Così, gli Stati Uniti hanno suggerito che, di fatto, sia stato Hamas a ostacolare i colloqui. “Non ci sono scuse, dobbiamo portare più aiuti a Gaza. Il cessate il fuoco è nelle mani di Hamas in questo momento”, ha detto ieri il presidente Joe Biden ai giornalisti. Una posizione confermata anche dal segretario di Stato Antony Blinken. “Spetta ad Hamas decidere se è disposto a impegnarsi”, ha precisato. “Abbiamo l’opportunità per un cessate il fuoco immediato che può riportare a casa gli ostaggi, che può aumentare drasticamente la quantità di aiuti umanitari che arrivano ai palestinesi che ne hanno così disperatamente bisogno, e può creare le condizioni per una soluzione duratura”, ha commentato ancora Blinken.


Ma il movimento palestinese ha respinto le accuse al mittente. Il gruppo ritiene di aver mostrato la “flessibilità richiesta” durante i colloqui. Viceversa, secondo Hamas, sarebbe stato Israele a rifiutarsi di soddisfare le richieste del gruppo per un cessate il fuoco permanente, il ritiro delle truppe dalla Striscia di Gaza, il ritorno degli sfollati di Gaza alle loro case nel nord e per “provvedimenti per i bisogni delle persone” nell’enclave palestinese. Resterebbe, comunque, la disponibilità a proseguire i colloqui. “Continueremo a negoziare attraverso i nostri fraterni mediatori per raggiungere un accordo che soddisfi le richieste e gli interessi del nostro popolo”, ha spiegato Hamas in una dichiarazione alla stampa. Un alto funzionario del gruppo, Osama Hamdan, ha poi ribadito le richieste del gruppo: un cessate il fuoco permanente, piuttosto che una pausa di sei settimane, e un “ritiro completo” delle forze israeliane. “La sicurezza e l’incolumità del nostro popolo potranno essere raggiunte solo con un cessate il fuoco permanente, con la fine dell’aggressione e con il ritiro da ogni centimetro della Striscia di Gaza”, ha detto Hamdan.A questo proposito, secondo l’Associated Press, Hamas avrebbe presentato una proposta che i mediatori discuteranno con Israele nei prossimi giorni. Secondo quanto riferito, inoltre, gli stessi mediatori avrebbero in programma un incontro con la delegazione del movimento palestinese già oggi al Cairo. Resta però il nodo degli ostaggi. Quando gli è stato chiesto se Hamas avesse una lista delle persone sequestrate, ancora in vita e da rilasciare, Hamdan ha risposto che la questione non sarebbe rilevante ai fini dei colloqui ed ha accusato Israele di utilizzarla come scusa per evitare di impegnarsi nei negoziati.


Intanto, gli Stati Uniti hanno rivisto e corretto la loro bozza di risoluzione da sottoporre al voto del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, al fine di sostenere “un cessate il fuoco immediato di circa sei settimane a Gaza insieme al rilascio di tutti gli ostaggi non appena le parti saranno d’accordo”. La terza revisione del testo – proposto per la prima volta dagli Stati Uniti due settimane fa – riflette ora le schiette osservazioni della vicepresidente Kamala Harris, che ha chiesto a Israele di fare di più per alleviare la “catastrofe umanitaria” a Gaza.Nella loro ultima bozza, gli Usa sostengono un cessate il fuoco temporaneo per “intensificare gli sforzi diplomatici e di altro tipo volti a creare le condizioni per una cessazione sostenibile delle ostilità e una pace duratura”. Le prime bozze della risoluzione statunitense richiedevano invece un “cessate il fuoco temporaneo a Gaza non appena possibile”, una formulazione respinta dalla maggior parte degli altri membri del Consiglio di Sicurezza.


Di questa mattina è inoltre una dichiarazione congiunta dell’Australia e dell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico, o Asean, che chiede “un cessate il fuoco umanitario immediato e duraturo” a Gaza, dopo giorni di dispute diplomatiche sul testo, inizialmente bloccato da Singapore per un passaggio sulla “fame” usata come arma a Gaza, particolarmente invisa a Israele. “Condanniamo gli attacchi contro tutti i civili e le infrastrutture civili, che portano ad un ulteriore deterioramento della crisi umanitaria a Gaza, compreso l’accesso limitato al cibo, all’acqua e ad altri bisogni fondamentali”, si legge nella dichiarazione rilasciata al termine di un vertice di tre giorni a Melbourne, che chiede inoltre l’immediato rilascio di tutti gli ostaggi.(di Corrado Accaputo) 

Fed, fari dei mercati su audizione Powell, domani direttorio Bce

Fed, fari dei mercati su audizione Powell, domani direttorio BceRoma, 6 mar. (askanews) – Tra stasera e domani torna a riunirsi il Consiglio direttivo della Banca centrale europea, l’organismo a cui partecipano tutti i governatori delle banche centrali nazionali dell’area euro e che stabilisce la politica monetaria comune. Alle 14 e 15 di giovedì, al termine della riunione, verranno comunicate le decisioni sui tassi di interesse, per cui si prevede una conferma.


Contestualmente verranno pubblicate le previsioni aggiornate su economia e inflazione dei tecnici della Bce. Generalmente è attesa una limatura delle stime sul caro vita. Mezz’ora dopo, alle 14 e 45 la presidente Christine Lagarde terrà la consueta conferenza stampa esplicativa. Ma intanto oggi i fari dei mercati saranno puntati sulla audizione semestrale del presidente della Federal Reserve, la banca centrale statunitense al Congresso. Questo pomeriggio Jay Powell si recherà alla Camera dei rappresentanti e domani al Senato. La solidità dei dati sull’economia degli Stati Uniti continua a far ritenere agli analisti che l’istituzione potrebbe allungare i tempi di un primo taglio dei tassi di interesse. Il prossimo direttorio della Fed per le decisioni monetarie (Fomc) si terrà tra due settimane, il 19 e 20 marzo.


Tornando all’area euro e alla Bce, da diversi mesi, ormai, gli analisti reputano che il picco dei tassi sia stato raggiunto con il 4,50% deciso lo scorso settembre, dopo una aggressiva manovra di inasprimento con cui la Bce ha complessivamente alzato i tassi di riferimento dell’area euro di 450 punti base. Da allora gli interrogativi hanno circondato soprattutto la tempistica con cui dovrebbe iniziare l’inversione di rotta, cioè quando deciderà il primo taglio dei tassi. Nei mesi scorsi i mercati si erano perfino sbilanciati e ipotizzare che questa mossa potesse avvenire alla fine del primo trimestre. Ma, come per la Federal Reserve negli Stati Uniti, i banchieri centrali centrali dell’eurozona sono ripetutamente intervenuti per respingere queste speculazioni e “rimettere in riga i mercati” (immagine recentemente utilizzata dalla Banca di regolamenti internazionali), per ricondurre le loro aspettative più in linea ai propositi della strategia monetaria.


La Bce punta ad avere il caro vita medio dell’area euro al 2%. E la stretta sui tassi, nelle sue intenzioni, punta a favorire il ritorno a questo valore creando un freno agli aggregati di domanda. Già da tempo sia Lagarde, sia altri esponenti dell’istituzione, hanno indicato nelle dinamiche salariali un elemento chiave da valutare prima di avventurarsi su un taglio. In particolare si vuole verificare l’esito delle tornate negoziali del primo trimestre, per capire se si creeranno nuove potenziali pressioni rialziste da questo canale, un possibile “effetto di secondo” livello della recente elevata inflazione.


I consuntivi sui dati del primo trimestre richiederanno ancora diverse settimane. Ma intanto un ulteriore elemento ha mostrato potenziali problematicità per la Bce: i prezzi dei servizi nell’area euro, su cui l’inflazione risulta più persistente del previsto e spiega in buona parte perché a febbraio il rallentamento della crescita generale dei prezzi sia stato meno netto delle attese, al 2,8% su base annua. Questo aspetto ha appena trovato conferma nelle indagini presso i responsabili degli approvvigionamenti delle imprese (gli Indici Pmi), che hanno ravvisato persistenti pressioni sui prezzi proprio nel settore terziario, dove la dinamica di attività è tornata positiva e decisamente migliore rispetto all’industria manifatturiera, zavorrata, quest’ultima, dalla contrazione delle aziende della Germania. Il rischio, secondo gli economisti che curano gli stessi indici Pmi, è che l’eurozona vada a impelagarsi in una fase di “stagflazione”, ovvero crescita ferma o molto a rilento assieme a elevata inflazione. E questo rinvierebbe le tempistiche dei tagli dei tassi della Bce, ad oggi prevalentemente ipotizzati scattare tra fine primavera e inizio estate, con diversi analisti che indicano giugno come mese chiave, dato che allora verranno nuovamente aggiornate le previsioni della Bce. Un altro aspetto che potrebbe evolversi in maniera diversa rispetto alle attese degli esperti è la portata della prima fase di riduzione del freno monetario. Perché quasi certamente la Bce non solo si muoverà a piccoli passi in questa manovra, a differenza dei maxi rialzi operati nel 2022 a inizio stretta, ma è anche prevedibile che si limiti appunto a smorzare solo in parte l’intronazione restrittiva della sua linea, per poi fermarsi e vedere come sviluppa il quadro prima di fare altro. Su questo diversi analisti ipotizzano tagli dei tassi per 100 punti base entro fine 2024, alcuni perfino per 150 punti base, ma resta da vedere se anche su questo aspetto i “falchi” del direttorio non riescano a imporre una linea più prudente.

M.O., negoziati in stallo: spunta ipotesi tregua di pochi giorni

M.O., negoziati in stallo: spunta ipotesi tregua di pochi giorniRoma, 6 mar. (askanews) – I negoziati per un cessate il fuoco tra Israele e Hamas sono in una fase di stallo, dopo due giorni di colloqui al Cairo, in Egitto, tra il movimento palestinese e i mediatori internazionali, disertati da Israele. Appare sempre più difficile, dunque, raggiungere l’obiettivo di una pausa nei combattimenti prima dell’inizio del mese sacro di Ramadan, il 10 marzo. Hamas, che ha confermato che nessun passo in avanti è stato compiuto durante gli ultimi incontri sulla proposta di tregua di sei settimane, ha comunque deciso di tenere la sua delegazione negoziale nella capitale egiziana per continuare a trattare. Mentre secondo il Wall Street Journal, i mediatori di Egitto, Qatar e Stati Uniti avrebbero proposto una tregua a breve termine della durata di pochi giorni, per guadagnare tempo e costruire fiducia tra Israele e il gruppo palestinese al governo a Gaza.


L’egiziano Al-Qahera News, vicino ai servizi di intelligence del paese, ha affermato che “i negoziati sono difficili ma stanno continuando”. Secondo funzionari che hanno familiarità con i colloqui, negli ultimi due giorni i mediatori internazionali hanno esercitato pressioni su Hamas affinché producesse un elenco di ostaggi da rilasciare come primo passo verso un accordo di cessate il fuoco graduale con Israele. Lo Stato ebraico in particolare avrebbe chiesto ad Hamas di presentare un elenco di 40 anziani, malati e donne in ostaggio da rilasciare con l’inizio del Ramadan. Fonti diplomatiche a Washington hanno spiegato che non è chiaro cosa abbia impedito al gruppo palestinese di produrre questo elenco, sottolineando che simili incertezze hanno finito per far crollare l’ultima speranza di tregua entro pochi giorni. Così, gli Stati Uniti hanno suggerito che, di fatto, sia stato Hamas a ostacolare i colloqui. “Non ci sono scuse, dobbiamo portare più aiuti a Gaza. Il cessate il fuoco è nelle mani di Hamas in questo momento”, ha detto ieri il presidente Joe Biden ai giornalisti. Una posizione confermata anche dal segretario di Stato Antony Blinken. “Spetta ad Hamas decidere se è disposto a impegnarsi”, ha precisato. “Abbiamo l’opportunità per un cessate il fuoco immediato che può riportare a casa gli ostaggi, che può aumentare drasticamente la quantità di aiuti umanitari che arrivano ai palestinesi che ne hanno così disperatamente bisogno, e può creare le condizioni per una soluzione duratura”, ha commentato ancora Blinken.


Ma il movimento palestinese ha respinto le accuse al mittente. Il gruppo ritiene di aver mostrato la “flessibilità richiesta” durante i colloqui. Viceversa, secondo Hamas, sarebbe stato Israele a rifiutarsi di soddisfare le richieste del gruppo per un cessate il fuoco permanente, il ritiro delle truppe dalla Striscia di Gaza, il ritorno degli sfollati di Gaza alle loro case nel nord e per “provvedimenti per i bisogni delle persone” nell’enclave palestinese. Resterebbe, comunque, la disponibilità a proseguire i colloqui. “Continueremo a negoziare attraverso i nostri fraterni mediatori per raggiungere un accordo che soddisfi le richieste e gli interessi del nostro popolo”, ha spiegato Hamas in una dichiarazione alla stampa. Un alto funzionario del gruppo, Osama Hamdan, ha poi ribadito le richieste del gruppo: un cessate il fuoco permanente, piuttosto che una pausa di sei settimane, e un “ritiro completo” delle forze israeliane. “La sicurezza e l’incolumità del nostro popolo potranno essere raggiunte solo con un cessate il fuoco permanente, con la fine dell’aggressione e con il ritiro da ogni centimetro della Striscia di Gaza”, ha detto Hamdan. A questo proposito, secondo l’Associated Press, Hamas avrebbe presentato una proposta che i mediatori discuteranno con Israele nei prossimi giorni. Secondo quanto riferito, inoltre, gli stessi mediatori avrebbero in programma un incontro con la delegazione del movimento palestinese già oggi al Cairo. Resta però il nodo degli ostaggi. Quando gli è stato chiesto se Hamas avesse una lista delle persone sequestrate, ancora in vita e da rilasciare, Hamdan ha risposto che la questione non sarebbe rilevante ai fini dei colloqui ed ha accusato Israele di utilizzarla come scusa per evitare di impegnarsi nei negoziati.


Intanto, gli Stati Uniti hanno rivisto e corretto la loro bozza di risoluzione da sottoporre al voto del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, al fine di sostenere “un cessate il fuoco immediato di circa sei settimane a Gaza insieme al rilascio di tutti gli ostaggi non appena le parti saranno d’accordo”. La terza revisione del testo – proposto per la prima volta dagli Stati Uniti due settimane fa – riflette ora le schiette osservazioni della vicepresidente Kamala Harris, che ha chiesto a Israele di fare di più per alleviare la “catastrofe umanitaria” a Gaza. Nella loro ultima bozza, gli Usa sostengono un cessate il fuoco temporaneo per “intensificare gli sforzi diplomatici e di altro tipo volti a creare le condizioni per una cessazione sostenibile delle ostilità e una pace duratura”. Le prime bozze della risoluzione statunitense richiedevano invece un “cessate il fuoco temporaneo a Gaza non appena possibile”, una formulazione respinta dalla maggior parte degli altri membri del Consiglio di Sicurezza.


Di questa mattina è inoltre una dichiarazione congiunta dell’Australia e dell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico, o Asean, che chiede “un cessate il fuoco umanitario immediato e duraturo” a Gaza, dopo giorni di dispute diplomatiche sul testo, inizialmente bloccato da Singapore per un passaggio sulla “fame” usata come arma a Gaza, particolarmente invisa a Israele. “Condanniamo gli attacchi contro tutti i civili e le infrastrutture civili, che portano ad un ulteriore deterioramento della crisi umanitaria a Gaza, compreso l’accesso limitato al cibo, all’acqua e ad altri bisogni fondamentali”, si legge nella dichiarazione rilasciata al termine di un vertice di tre giorni a Melbourne, che chiede inoltre l’immediato rilascio di tutti gli ostaggi.

Ciak per Ricomincio da Taaac, secondo film de Il Milanese Imbruttito

Ciak per Ricomincio da Taaac, secondo film de Il Milanese ImbruttitoRoma, 6 mar. (askanews) – Al via a Milano le riprese di “Ricomincio da Taaac”, secondo film de “Il Milanese Imbruttito”, a tre anni da “Mollo tutto e apro un chiringuito”. Il sequel vede protagonista ancora Germano Lanzoni nei panni dell’iconico “Signor Imbruttito”, milanese purosangue ormai entrato nell’immaginario collettivo non solo lombardo ma di tutta Italia, sopravvissuto alla poco fortunata avventura in Sardegna del primo capitolo. Ad affiancarlo, tutti i personaggi del mondo Imbruttito, come il Giargiana, la Wife, il Nano, l’Imbruttita.


“Ricomincio da Taaac”, previsto nelle sale nel prossimo autunno, vede nel cast, tra gli altri, Brenda Lodigiani, Paolo Calabresi, Claudio Bisio, Laura Locatelli, Leonardo Uslengo, Valerio Airò, Renato Avallone e tra le new entry Raul Cremona, Francesco Mandelli, Maurizio Bousso e Martina Bonan, è ancora diretto da Pietro Belfiore, Davide Bonacina, Andrea Fadenti, Andrea Mazzarella e Davide Rossi ed è prodotto da Giovanni Cova per QMI, Ramaya Productions e Medusa Film in collaborazione con Prime Video. Il set, che si concluderà a fine marzo, questa volta si svolgerà interamente nel territorio lombardo, toccando diversi luoghi della città di Milano, in particolare il quartiere Portanuova, cuore pulsante e rappresentativo del capoluogo lombardo, che si presenta come una vivace e dinamica espressione di POP Culture, con l’obiettivo di diventare una vera e propria piazza di intrattenimento per il pubblico, oltre che simbolo di una grande riqualificazione architettonica urbana di carattere culturale, sociale e ambientale. Grazie a una partnership con COIMA, gruppo specializzato nell’investimento, sviluppo e gestione di patrimoni immobiliari italiani per conto di investitori istituzionali, faranno da cornice alle riprese le suggestive e iconiche location piazza Gae Aulenti, Biblioteca degli Alberi (BAM) e Bosco Verticale. Previste inoltre riprese anche sui Navigli e presso l’Abbazia di Chiaravalle, oltre a un excursus a Bellagio sul lago di Como.


Social brand di proprietà di Shewants e creato da Marco De Crescenzio, Federico Marisio e Tommaso Pozza, “Il Milanese Imbruttito” dal web è diventato in pochi anni un fenomeno culturale e sociale che oggi conta due milioni di follower su Facebook, più di 770mila su Instagram, più di 500mila sul canale ufficiale YouTube e più di 220mila su TikTok. La prima trasposizione cinematografica, “Mollo tutto e apro un chiringuito”, uscito nel 2021, ha esordito subito sul podio del box office, risultando tra i maggiori incassi italiani nel periodo pandemico. “‘Ricomincio da Taaac aggiunge nuove sfumature e angolature a un personaggio che, da un apparente profilo di maschera contemporanea, offre una riflessione ironica e sagace sui tempi che stiamo vivendo – ha dichiarato Giovanni Cova, produttore e Presidente di QMI. “Nella nostra narrazione, inoltre, la città di Milano non è una semplice location ma è diventata ormai una vera e propria protagonista, con le sue peculiarità, le sue contraddizioni, i suoi luoghi famosi e gli angoli nascosti, il suo continuo divenire e le eterogenee anime che ogni giorno la abitano e la vivono e che nelle sue dinamiche sociali e nei cambiamenti linguistici diventa comunque uno specchio dell’Italia intera e della nostra epoca”.


“Siamo felici che ci sia stata data la possibilità di intraprendere un nuovo viaggio nel mondo del Milanese Imbruttito” hanno affermato i coproduttori Ramaya Productions. “Seppur il film sia ambientato interamente a Milano, il ‘nostro eroe’ si troverà ad affrontare un ambiente ancora più sconosciuto e inesplorato rispetto alla sua precedente avventura in Sardegna”. “È per noi un orgoglio e traguardo poter approdare nuovamente al cinema e nelle piattaforme di streaming con il secondo lungometraggio del progetto “Il Milanese Imbruttito” – ha detto Tommaso Pozza, ceo di Shewants/Il Milanese Imbruttito. “Un percorso che dura più di 10 anni sui social, in costante evoluzione e che vedrà ancora protagonista il cast dei nostri attori-eroi alle prese con nuove avventure, questa volta interamente nella “city”. Siamo sicuri che ci sarà da ridere!”.

Super Tuesday: Biden e Trump verso nuovo duello a novembre

Super Tuesday: Biden e Trump verso nuovo duello a novembreRoma, 6 mar. (askanews) – L’ufficializzazione delle candidature per la corsa alla Casa Bianca si fa sempre più vicina. E se per Joe Biden appare una pura formalità, che si scontra soltanto con il voto di protesta degli arabo-americani democratici sul conflitto in Medio Oriente, per l’ex presidente Donald Trump la nomination repubblicana ha ricevuto un deciso impulso dal Super Tuesday, dove ha conquistato 14 dei 15 stati in palio, avvicinandosi al traguardo di 1.215 delegati necessari. L’unica sfidante, Nikki Haley, gli ha rubato l’occasione dell’en plein vincendo a sorpresa il Vermont.


Ma il Super Tuesday è stato, senza ombra di dubbio, dominato da Biden e Trump che hanno raccolto un gran numero di delegati nelle primarie che si sono tenute in 15 stati più il caucus delle Samoa americane (unica sconfitta di Biden, che ha ceduto per 51 voti su 91 i quattro delegati assegnati al “sorpreso” Jason Palmer). Si è votato in Maine, Alaska, Alabama, Arkansas, Minnesota, Colorado, Tennessee, Oklahoma, Massachusetts, Texas, California, Utah (dove non ci sono ancora risultati ufficiali per i GOP), Virgina, Vermont e North Carolina. Biden e Trump hanno conquistato anche i due stati con il numero più alto di delegati, California (169) e Texas (161). Da segnalare la bassissima affluenza, addirittura all’8% in California.


Ad oggi in campo repubblicano Trump ha ottenuto 961 delegati, contro gli 86 di Haley. Per Biden si contano 1.501 delegati (la soglia per la nomination ufficiale è 1.968 su 3.934). E il conteggio per l’ufficializzazione riprenderà già martedì prossimo quando si terrà una nuova serie di primarie, anche in Georgia e Mississipi. Donald Trump, che ha lasciato la Casa Bianca da perdente, si sta avvicinando all’appuntamento di novembre con sempre più assi nella manica: dai rinvii dei numerosi processi a suo carico a dopo il voto, alla crescita nei sondaggi, all’assenza di un vero rivale in casa repubblicana. Il miliardario ha festeggiato la vittoria al Super Tuesday dal resort di Mar-a-Lago, in Florida, dove ha parlato di “una notte fantastica, un giorno fantastico” senza nominare Haley o accennare a lei: “Lo chiamano Super Tuesday per un motivo”, ha detto aggiungendo che “faremo qualcosa che francamente nessuno ha mai fatto da molto tempo”. E tornando poi sui temi a lui cari, come quello dell’immigrazione, per cui ha parlato di “un’invasione”.


Biden, l’unico che ormai può fermare l’avanzata di Trump, ha sostenuto l’importanza di evitare una rielezione del tycoon: “Questa è una (opportunità) che capita una volta ogni generazione per noi di essere in grado di resistere e affrontare l’estrema divisione e violenza dei repubblicani” e “se perdiamo queste elezioni, tornerete con Donald Trump”. “Il modo in cui parla, il modo in cui ha agito, il modo in cui ha affrontato la comunità afroamericana, penso, sia stato vergognoso”, ha aggiunto. “I risultati di stasera lasciano al popolo americano una scelta chiara: continueremo ad andare avanti o permetteremo a Donald Trump di trascinarci indietro nel caos, nella divisione e nell’oscurità che hanno definito il suo mandato?”, ha domandato Biden in un comunicato, chiamando i suoi elettori a sostenerlo da qui a novembre, facendo crescere il suo indice di gradimento che resta basso.


E, spina nel fianco del presidente, resta il voto di protesta, “uncommitted”, degli elettori che non perdonano a Biden il sostegno a Israele nell’offensiva a Gaza. Un elemento da non sottovalutare in vista del voto di novembre, che si prevede sul filo di lana e molto serrato, deciso forse da decine di migliaia di voti negli stati chiave. La scorsa settimana in Michigan, più di 100.000 democratici hanno votato “uncommitted” e ieri in Minnesota sono stati circa 45mila, il 20%.

Abruzzo, Marsilio: nel centrosinistra si schifano l’uno con l’altro

Abruzzo, Marsilio: nel centrosinistra si schifano l’uno con l’altroRoma, 6 mar. (askanews) – Dall’altra parte “si schifano l’uno con l’altro”. Lo ha detto Marco Marsilio, candidato del centrodestra per la presidenza della Regione Abruzzo, a Start su Sky Tg24, parlando del centrosinistra in vista delle elezioni regionali nel fine settimana.


“Oggi a Pescara ci sarà Renzi, ma Conte e Calenda non possono salire sul palco assieme a Renzi e se non possono stare insieme su un palco non possono neanche governare insieme una regione, non possono fare insieme la giunta, non possono andare in consiglio insieme a trovare una maggioranza per fare le leggi”, ha aggiunto.

Basilicata, Schlein avverte: unità coalizione prima di tutto

Basilicata, Schlein avverte: unità coalizione prima di tuttoRoma, 5 mar. (askanews) – Elly Schlein interviene sulla Basilicata, nella regione il “campo largo” vittorioso in Sardegna rischia di andare subito in frantumi e la leader Pd vuole evitare una spaccatura renderebbe quasi impossibile la vittoria e incrinerebbe un lavoro di tessitura che ha un significato che va ben oltre la dimensione regionale. La situazione per certi versi somiglia a quella che si era creata nell’isola, ma più difficile: in campo al momento c’è Angelo Chiorazzo, imprenditore delle coop bianche, sostenuto dal Pd lucano e da Roberto Speranza, ma poco o per niente gradito praticamente a tutto il resto del “campo largo”, a cominciare da M5s. La leader Pd parlando a Bruno Vespa manda due messaggi. Il primo è rivolto a tutti i potenziali alleati: “La responsabilità di costruire coalizioni non può gravare unicamente sulla prima forza della coalizione”. Ma poi aggiunge: “Da parte nostra l’unità di una coalizione in grado di competere con le destre e vincere è la cosa che viene prima di ogni altra”.


Parole che sembrano rivolte soprattutto a Chiorazzo, che minaccia di correre comunque da solo, anche se il centrosinistra scegliesse un altro candidato. Un “Soru lucano”, in pratica che “però sarebbe molto più forte di Soru”, commenta preoccupato un parlamentare Pd. Sabato scorso si è sfiorata la rissa nella direzione Pd lucana convocata proprio per affrontare la questione, con i due inviati dalla Schlein – Igor Taruffi e Davide Baruffi – che cercavano appunto di convincere il partito locale che l’unità della coalizione viene prima di ogni altra cosa. I due alla fine hanno dovuto abbandonare la riunione tra urla e insulti, con Taruffi che predeva atto: “Così non ci sono le condizioni per continuare”.


Il fatto è che oggi Chiorazzo ha rilanciato: “Io non mi ritiro, stiamo lavorando alle manifestazioni c’è un numero di persone che non si vedeva da 30 anni. Cinquestelle o no, io rimango ricandidato”. L’imprenditore conta di riuscire a convincere almeno Avs, Azione, Più Europa, lasciando così solo M5s a dire no. Anche per questo Schlein ha invitato tutti – anche M5s – ad “assumersi la responsabilità” di tenere unito il fronte. La chiosa finale della leader Pd fa capire quale sarà il tentativo dei prossimo giorni, la Schlein cercherà di individuare la soluzione capace di raccogliere il consenso più largo possibile, per poi provare a convincere chi dovesse ancora minacciare una corsa solitaria. Qualcuno ipotizza anche di rilanciare l’idea delle primarie, che M5s in Sardegna non ha voluto, ma che ha accettato a Bari. Di sicuro, la leader Pd non vuole rassegnarsi ad una spaccatura.

Meloni ‘personalizza’ sfida Abruzzo. E avvicina candidatura Europee

Meloni ‘personalizza’ sfida Abruzzo. E avvicina candidatura EuropeePescara, 5 mar. (askanews) – La butta lì, come una battuta, durante un evento a Teramo. “Potete contare sul fatto che essendo io eletta qui, alle brutte mi cacciate”. Giorgia Meloni arriva in Abruzzo per un doppio appuntamento elettorale a sostegno di Marco Marsilio – il primo presidente di Regione mai eletto da Fratelli d’Italia – che punta a essere riconfermato dalle urne nella sfida di domenica con il candidato del ‘campo larghissimo’, Luciano D’Amico.


Si tratta, certo, di far dimenticare la Sardegna e di sostenere un amico storico, un politico cresciuto con lei alla ‘scuola’ di Colle Oppio. Ma in ballo c’è anche il giudizio su una amministrazione che è quasi una emanazione di chi nel frattempo è arrivato a palazzo Chigi. Ed è infatti la stessa presidente del Consiglio, questa volta, a ‘personalizzare’ la competizione. “Io come si sa e come si vede ho da tempo investito sulla sfida dell’Abruzzo, per dimostrare che se metti le persone nelle condizioni di dimostrare il loro valore otterrai un risultato”, dice davanti alla platea della Camera di commercio di Teramo prima di spostarsi a Pescara per il comizio con Antonio Tajani e Matteo Salvini. Il clima è diverso da Cagliari, non c’è la tensione che aveva caratterizzato quell’appuntamento, non c’è quell’ostentazione di unità che – come in una excusatio non petita – era stata sbandierata negli interventi dei tre leader. Complice anche l’accordo fatto sulle prossime regionali di Basilicata, Piemonte e Umbria che alla fine la premier si è convinta a siglare per rasserenare il clima nella coalizione. Questa volta, all’unisono, i leader del centrodestra decidono invece di alzare il tiro sull’affaire ‘dossieraggio’ chiedendo che si chiarisca chi sono “i mandanti” occulti.


Alla faccia della scaramanzia, Meloni snobba il rischio di un effetto Sardegna. “Intanto – dice – lo dobbiamo ancora vedere perchè ancora non si è capito bene come è andata a finire”, comunque “sono molto ottimista francamente”. Per amor di scaramanzia, invece, abbraccia l’idea del comizio bagnato, comizio fortunato. E così, quando su piazza Salotto a Pescara cominciano a cadere le prime gocce di pioggia, ricorda che fu così anche prima delle Politiche. “E sono diventata presidente del Consiglio, quindi tutto sommato se piove non sarà una cattiva cosa”, scherza. A contribuire all’ottimismo ci sono forse anche gli stanziamenti a favore della Roma-Pescara sbloccati proprio qualche giorno fa dal Cipess. “Era uno dei problemi che abbiamo ereditato, nel senso che era inserita nel Pnrr ma con i tempi del piano non si sarebbe potuta realizzare. Quindi noi avremmo perso quelle risorse. Cosa ha fatto il governo? L’ha stralciata dal Pnrr e ha trovato il finanziamento fuori”, spiega. Come in occasione del comizio di Cagliari, la premier ironizza sulla coalizione che sostiene lo sfidante di Marsilio. Se in quel caso le battute in falsetto sul programma antifascista della Todde non hanno portato fortuna, questa volta Meloni ci riprova attaccando la mega alleanza a sostegno di D’Amico. Da una parte, dice, c’è il centrodestra che sta insieme “per scelta”, dall’altro “sono tutti alleati ma si vergognano a dirlo”.


Ma c’è, nella ‘personalizzazione’ della sfida abruzzese della presidente del Consiglio, soprattutto l’intenzione di non derogare da un principio che lei stessa in passato ha avuto modo di sottolineare. Ossia che qualsiasi elezione, pur con l’influenza di logiche locali, è sempre anche un giudizio su chi governa. E allora, bisogna dimostrare che la Sardegna è stato solo un incidente. E per farlo, non basta certo solo vincere in Abruzzo. La vera sfida che si apparecchia, la vera sentenza sulla sua gestione di palazzo Chigi, non possono che essere le Europee. Meloni lo ricorda nel comizio di Pescara e sembra avvicinare sempre di più quella candidatura che ancora tiene in stand by. “Sono il vero timore di tutti: che questa maggioranza possa essere confermata. Succederà di tutto. C’ho l’elmetto, ho già messo l’elmetto. E vinceremo anche questa battaglia”.