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A Milano torna e_mob, festival della mobilità sostenibile

A Milano torna e_mob, festival della mobilità sostenibileMilano, 6 ott. (askanews) – Torna a Milano “e_mob”, il festival della mobilità sostenibile. Dal 7 al 10 Ottobre si svolge la settima rassegna dedicata a comunità e stakeholder della soft mobility: imprese, pubbliche amministrazioni, enti di ricerca, organizzazioni no profit impegnati a realizzare e raccontare la mobilità a zero emissioni.

Dal 2016 “e_mob” – coordinato da Class Onlus, il Comitato per l’ambiente e lo sviluppo sostenibile – si conferma come principale momento di dibattito istituzionale, tecnico-scientifico e culturale sul presente e sul futuro dei mezzi elettrici in Italia. Tra gli enti promotori dell’evento ci sono il Comune di Milano, la Regione Lombardia, la Camera di Commercio di Milano, Monza-Brianza e Lodi, il gruppo ATM, Enel Xway, a2a Life Company, il gruppo Hera e molti altri. Lunedì 9 ottobre alle 10.30, si svolgerà la tavola rotonda -moderata da Camillo Piazza, presidente Class Onlus e coordinatore e_mob – con i protagonisti della mobilità elettrica in Italia. Saranno affrontate tematiche com il Pnrr, la Legge di bilancio e lo stato dell’arte dei progetti in corso per realizzare la transizione energetica nella mobilità. All’incontro parteciperanno Stefano Terranova ceo di Atlante – società del Gruppo NHOA – Francesco Venturini ceo Enel x, Massimo Bruno, chief corporate affairs officer di Ferrovie dello Stato e Paolo Martini ceo Be Charge e head e-mobility recharge solutions di Plenitude.

Nel pomeriggio i lavoro proseguiranno con altri incontri di lavoarto ai quali parteciperanno, tra gli altri il presidente di Arera Stefano Besseghini, e Paolo Arrigoni, presidente del Gse. “Se vogliamo continuare a godere di quella liberta’ di movimento che diamo per scontata, dobbiamo cambiare profondamente l’industria dei trasporti e della mobilita’ presente – commenta Stefano Terranova ceo di Atlante – E_mob rappresenta un’occasione privilegiata per condividere la nostra missione con le istituzioni e con gli operatori protagonisti del settore. Siamo onorati di contribuire ai lavori della settima edizione”.

Operativa dall’ottobre 2021, Atlante conta oggi più di 1.200 punti di ricarica online nei suoi quattro Paesi in cui opera, con altre migliaia in fase di costruzione e sviluppo. Le stazioni Atlante sono completamente interoperabili e possono essere attivate praticamente da qualsiasi app o scheda di ricarica per la mobilità elettrica e da qualsiasi marca e modello di veicolo elettrico.

Cernilli: oggi il vino è molto di più di qualcosa soltanto da bere

Cernilli: oggi il vino è molto di più di qualcosa soltanto da bereMilano, 6 ott. (askanews) – Oltre ad essere uno dei critici enologici italiani più noti e apprezzati, Daniele Cernilli è anche uno dei più esperti conoscitori dell’affollato settore editoriale delle guide dei vini, dato che nei suoi quarant’anni di vita professionale ne ha fatte uscire complessivamente ben 35: 24 con il Gambero Rosso, una con Duemilavini dell’Associazione italiana sommelier e dieci con la sua DoctorWine. L’ultima sua “Guida essenziale ai vini d’Italia” l’ha presentata a Milano nei giorni scorsi e la ripresenterà l’8 ottobre allo Spazio 900 a Roma.

“Si chiama ‘essenziale’ perché noi non mettiamo tutti i vini delle Cantine che selezioniamo ma soltanto le cosiddette ‘specialità della casa’, quindi i vini migliori, e nelle intenzioni dovrebbe quindi essere la punta della piramide del vino italiano, con la massima qualità attribuita a meno di venti vini, come succede più o meno per i ristoranti della Michelin” racconta Cernilli parlando con askanews a margine della presentazione milanese, una due giorni di degustazioni con i vini selezionati di circa 240 Cantine, che ha richiamato quasi duemila persone. In quasi 600 pagine, il volume raccoglie 1.250 aziende e poco più di tremila vini, scelti da una squadra composta da una ventina di degustatori, tra cui tante donne. “Trentacinque guide significa che negli anni ho assaggiato almeno 150mila vini e ho scritto più di 10mila schede di prodotto” continua Cernilli, che in questi oltre quarant’anni di lavoro ha assistito all’evoluzione del mondo del vino italiano. “Il vino non è più semplicemente qualcosa soltanto da bere, ci sono tanti elementi, dal design delle etichette fino all’attenzione per l’ecosostenibilità, che lo arricchiscono di contenuti, non c’è soltanto il primato del sapore e gli aspetti organolettici, ma una concezione più olistica, complessiva: questo è cambiato e sta cambiando” spiega, un’evoluzione che si deve “all’introduzione delle Denominazioni di origine, che hanno portato il vino a non essere più semplicemente un prodotto merceologico ma un prodotto che lega la qualità alla sua origine, ma anche alla ‘brandizzazione’ sulla qualità”. Secondo il 68enne critico romano, il progressivo aumento della qualità media registrato in questi anni è evidente ed emblematico “nella produzione cooperativa: una volta i loro erano dei vinacci, ora non è assolutamente più così”. “E’ cambiata la prospettiva: ci si rivolge ad un pubblico che ha in generale una maggiore possibilità di spesa in relazione non soltanto alla qualità ma anche all’iconicità del vino, a ciò che rappresenta quello che è diventato una specie di ‘flacone del territorio’”.

In questa trasformazione generale, il tema del prezzo del vino, del suo valore e del suo posizionamento, sono elementi che tornano di attualità appena si manifesta il rischio di una contrazione del mercato, non tanto interno quanto internazionale, come indicano le stime per il 2024. Le proiezioni più fosche riguardano i vini delle fasce medio basse penalizzate dalla diminuita capacità di spesa del ceto medio, mentre, al contrario, viene dato in crescita il segmento dei vini di alta e altissima gamma quelli che si posizionato nella fascia più elevata di prezzo. Una forbice, che rischia di penalizzare in particolare i giovani e le fasce di popolazione meno abbienti. “Il vino è sempre stato un marker, un segnalatore della situazione economica generale” afferma Cernilli, spiegando che “parlare però di ‘democratizzazione dei consumi’ può essere un po’ demagogico: noi parliamo di alta moda, di automobili di lusso, e poi se un vino costa un po’ di più ci stracciamo le vesti. Se non è un atteggiamento ipocrita è perlomeno un pò contraddittorio”. “Non si capisce perché nei telegiornali ci sono servizi sulle sfilate di moda e non ci sono altrettanti servizi su prodotti alimentari di alta qualità, tra cui c’è anche il vino, e nemmeno perché Armani è una star, e non lo sono, per esempio, Gaja o Antinori” continua Cernilli, domandandosi retoricamente: “Perché va bene che un vestito di alta moda costi migliaia di euro, mentre è inaccettabile che una bottiglia di Masseto costi mille euro?”. Ma ogni ragionamento sull’evoluzione del vino italiano necessita di una base di partenza chiara. “Nel nostro Paese abbiamo circa 600mila ettari di vigneto, più o meno seimila chilometri quadrati (un po’ più della Liguria) e abbiamo quasi 300mila produttori, il che significa che ci sono poco più di 2 ettari per produttore di uva da vino, una parcellizzazione della produzione che è spaventosa” ricorda allora Cernilli, sottolineando che “quindi quelli che parlano di industria del vino in Italia mi fanno sorridere perché l’industria in Italia quasi non esiste: non c’è alcun Paese nel mondo vitivinicolo che abbia una concentrazione di cooperazione come in Italia, dove il 60% del vino è prodotto da cooperative che fanno poco più del 40% del fatturato totale, che significa che vendono ad un prezzo un po’ più basso di quello medio dei produttori privati”. Inoltre, aggiunge Cernilli, “in Italia assistiamo ad una progressiva diminuzione del consumo di vino che va avanti dagli anni Ottanta, quando si beveva più del doppio di quello che si beve oggi, che è meno di 40 litri procapite contro i quasi cento degli anni Settanta”. “Alcune bevande hanno sostituito il vino, tra cui anche l’acqua minerale in bottiglia, quindi c’è stato un depauperamento della base di consumo e un aumento del prezzo medio: beviamo meno ma beviamo meglio da un punto di vista qualitativo” prosegue, evidenziando che ora però “il rischio è la disabitudine a bere vino, con la conseguenza che se produrremo meno e avremo meno vigneti, assisteremo anche ad un cambiamento del paesaggio, perchè il vino non è solo qualcosa da bere: sono i muretti a secco, la gestione dei territori, e via discorrendo”.

Un altro rischio per il settore vitivinicolo, viene dai “vini dealcolati”, un mercato ancora di nicchia che gli analisti ritengono però in crescita esponenziale. “Sono molto sorpreso che molti sostenitori dei vini naturali lo siano anche dei vini senza alcol: ad unirli c’è una ‘medicalizzazione’ dello stile di vita, per cui se l’alcol fa male, il dealcolato è quasi più naturale” continua Cernilli dialogando con askanews, sottolineando che “questa è una sciocchezza tremenda, e tra l’altro per produrre i dealcolati servono dei macchinari talmente sofisticati e costosi che un piccolo produttore non potrà mai permettersi, e quindi c’è il rischio che questa tipologia finisca nelle mani della grande industria non del vino ma del beverage”. “Quindi non mi sorprenderei che tra una decina d’anni i vini dealcolati saranno fatti dalla Coca-Cola o dalla Nestlé, gruppi che in questo modo potranno entrare nel mondo della produzione vitivinicola” prosegue, ragionando anche sulla discussione in corso in Europa sui fondi Ocm, quelli per la promozione del vino e degli alcolici: “Molti sostengono che siccome l’alcol fa male allora non deve essere promosso ad alcun livello e questo teoricamente non vale per il vino dealcolato: quindi il rischio è che questi fondi vengano tolti ai piccoli e medi produttori per darli ai grandi gruppi. Potrebbe essere complottismo – conclude – però è uno degli scenari possibili e significherebbe cambiare il quadro della produzione vitivinicola italiana”.

Il rap d’autore di Mecna, nuovo singolo “Le pareti in questa camera”

Il rap d’autore di Mecna, nuovo singolo “Le pareti in questa camera”Milano, 6 ott. (askanews) – Esce il nuovo singolo di Mecna, “Le pareti in questa camera” in collaborazione con i BNKR44, da ora disponibile su tutte le piattaforme digitali.

“Seguo i BNKR44 da qualche tempo, li ho sempre trovati molto interessanti. Avevo questo pezzo che era perfetto per loro. Ho deciso di mandarglielo e dopo appena due giorni ci siamo trovati in uno studio fuori Firenze, trascorrendo una giornata assieme. Da lì sono nati il pezzo e la collaborazione. Sono sempre molto contento di collaborare con artisti più giovani, mi piace assimilare il loro approccio alla musica. E poi il fatto che i BNKR44 siano un collettivo li rende praticamente unici.” – racconta Mecna a proposito della collaborazione. “Le pareti in questa camera” è prodotta da Lvnar. Il singolo va a completare la tracklist dell’ottavo album in studio del rapper pugliese “Stupido Amore”, uscito a maggio via Virgin Records / Universal Music Italia.

Il disco include le collaborazioni con Drast, Bais, Dargen D’Amico, Guè e Coez. Mecna s’imbarcherà nel suo “Stupido Amore Tour” quest’autunno (la data all’Hiroshima di Torino, già sold-out). Per maggiori informazioni: https://www.mecnamusic.com Le date di “Stupido Amore Tour”: 03/11 Perugia – Urban 04/11 Bologna – Estragon 10/11 Roma – Orion 11/11 Firenze – Viper 17/11 Torino – Hiroshima SOLD OUT 23/11 Milano – Alcatraz 24/11 Padova – Hall 01/12 Napoli – Palapartenope 02/12 Bari (Molfetta) – Eremo

”Romanzo digitale”, il nuovo libro del giornalista Antonio Pascotto

”Romanzo digitale”, il nuovo libro del giornalista Antonio PascottoRoma, 6 ott. (askanews) – Chi si ricorda ancora dei calendari a blocchetto? Quelli dai quali tutte le mattine si staccava il foglio del giorno precedente con una ritualità irrinunciabile. Quante volte abbiamo sbirciato tra le pagine dei giorni ancora lontani con la speranza di poter immaginare il futuro attraverso quella carta leggera che ci accompagnava tra settimane, mesi, anni.

Il futuro. Un immenso enigma che fin dalla notte dei tempi l’uomo tenta di svelare con ogni mezzo, ma che si è sempre fatto beffe di chi pensava di poterlo divinare, sorprendendo l’umanità con improbabili colpi di scena degni del miglior commediografo. Ed è proprio in questo futuro che Antonio Pascotto ci accompagna tra le pagine del suo nuovo libro: “Romanzo Digitale”, edito per i tipi di Edizioni Jolly Roger (in libreria e sui migliori portali online, pagine 280, copertina flessibile, € 15,00). Un diario che ripercorre momenti vissuti e anni impossibili da dimenticare, scanditi dalla musica, dalla letteratura e dai grandi interrogativi che ci siamo sempre posti. Pagine che attraversano un passato lontano, per poi giungere a quello più recente segnato dalla Pandemia come da una ferita ancora aperta che – lo sappiamo – lascerà dietro di sé una cicatrice che nemmeno il tempo riuscirà mai ad attenuare.

E poi il futuro, scandito dai passi sempre più veloci di una tecnologia in continua parabola ascendente, che dalla semplice elaborazione dati affidata a elementari algoritmi giunge fino ai confini della Creazione con l’Intelligenza Artificiale, capace di generare un pensiero proprio, esattamente come tratteggiato da pochi visionari (ma non troppo) autori della migliore fantascienza. Il tutto filtrato attraverso la sensibilità dell’uomo e il suo inguaribile ottimismo che guarda all’iperconnessione con lo scetticismo di chi sa che probabilmente, anche stavolta, riusciremo a uscirne non troppo malconci. Ma sarà davvero così? Saremo sempre noi a controllare l’algoritmo o si ribalteranno i ruoli? E a che prezzo?

Il romanzo di un giornalista di rango non può che instillare domande, le risposte alle quali sono dentro ognuno di noi. Ma è bello lasciarsi prendere per mano in una passeggiata lunga fino al 2033. E Antonio Pascotto si rivela un eccellente accompagnatore. Antonio Pascotto. Giornalista, lavora a Mediaset dal 1993. Attualmente è caporedattore della testata TgCom24. Tra le sue pubblicazioni: La televisione senza palinsesto. Contenuti nella tivù dell’era digitale, De Angelis Editore, 2007; Alberto Sordi. Il cinema e gli altri, De Angelis Editore, 2008; L’informazione connessa, Armando Curcio Editore, 2012; Il mondo senza Internet. Connessioni e ossessioni. Dallo scandalo Facebook alla quiete digitale, Male Edizioni, 2019.

Robert Kuok, il decano dei miliardari d’Asia compie 100 anni

Robert Kuok, il decano dei miliardari d’Asia compie 100 anniRoma, 6 ott. (askanews) – Una pioggia di auguri è caduta su Robert Kuok, il rispettato miliardario malese che oggi ha compiuto i suoi 100 anni. Il tycoon, che vive a Hong Kong da mezzo secolo, si conferma il più attempato riccone d’Asia e il terzo miliardario con più anni sul groppone dopo l’assicuratore Usa George Joseph (102 anni) e il presidente americano della Dole Food David Murdock (100 anni anche lui, ma nato ad aprile).

Quella di Kuok è stata una vita che ha attraversato la storia dell’Asia, dalle origini come venditore di riso e zucchero nel secondo dopoguerra a una fortuna che è stimata, secondo Forbes, a 10,4 miliardi di dollari, che lo rende il 146mo uomo più ricco del mondo. Non bisogna pensare alla sua, però, come a una storia da self-made-man. Certamente le premesse da cui partì, quando era ancora un ragazzo, non erano quelle del povero in canna. Kuok – il cui nome completo è Kuok Hock Nien – nasce in una famiglia ricca e ben collegata. Originaria della provincia cinese di Fujian, si spostò nella provincia malese di Johor Bahru, dove si collocò immediatamente nella fascia alta della società locale. Il piccolo Robert nacque il 6 ottobre 2023 proprio lì. Malese, sì, ma anche cinese e in famiglia il piccolo futuro miliardario parlava nel dialetto di Fuzhou. Il giapponese dové impararlo per forza, durante l’occupazione nipponica in periodo di guerra. Tutto ciò gli diede la possibilità di operare sui mercarti di Cina, Giappone e Sudest asiatico con totale padronanza.

La formazione di Robert Kuok fu quella dell’élite sino-malese. Studiò nella Raffles Institution di Singapore, dove fu compagno di classe di Lee Kuan Yew (fondatore e dominatore della città stato dal 1959 praticamente fino alla sua morte nel 2016), e poi nell’università inglese di Johore Bahru. Kuok ovviamente, in una sua biografia, accredita il mitico inizio della sua fortuna col un lavoro da fattorino. Ma, senza il sostegno finanziario della sua famiglia, non sarebbe potuto decollare. Il resto, certo, fu frutto del suo talento.

Durante l’occupazione giapponese (1942-45), entrò in affari con il conglomerato nipponico Mitsubishi Shojigaisha, operando nel settore del commercio del riso, che lo “zaibatsu” (trust) giapponese aveva monopolizzato grazie al supporto dei militari. Robert diventò sostanzialmente colui che gestiva questo cruciale monopolio. Dopo la guerra, i contatti e le competenze maturate nel periodo precedente furono cruciali nella fondazione del business di famiglia, la Kuok Brothers, nel 1949, che commmerciava prodotti agricoli. Dieci anni dopo, fodò la Malayan Sugar Manifacturing, che arrivò a controllare il 10% della produzione mondiale: allora fu soprannominato “il re dello zucchero”.

Poi si buttò nella hotellerie, costruendo nel 1971 il primo Shangri-La Hotel a Singapore, e nell’immobiliare, quando nel 1977 acquistò un appezzamento in un’area su cui pochi avrebbero scommesso per costruirvi il Kowloon Shangri-La. Infine si diede anche all’editoria, acquistando una quota di controllo del South China Morning Post (poi venduta ad Alibaba), ed entrando in affari con Rupert Murdoch. Nel 1993 però lasciò il Kerry Group, che era il suo veicolo per questi affari. Le aziende di Kuok sono presenti in tutti i principali paesi della regione. Il vegliardo è anche proprietario del World Trade Center di Pechino, oltre a essere il padrone del più grande trasformatore di olio di palma al mondo ed essere presente nel settore dei servizi petroliferi con la PACC Offshore Services Holdings (POSH). Kuok non si fa mancare anche una consistente presenza in politica, nella quale ha nei decenni ricoperto importanti incarichi sia a Hong Kong che in Malaysia. E non ha fatto mancare il suo sostegno all’ex primo ministro Mahatir Muhamad e al partito UNMO. Nella vita privata, Kuok tende a essere piuttosto riservato. Sappiamo che è buddista e che si è sposato per due volte, avendo un totale di otto figli, molti dei quali sono coinvolti negli affari generati dal padre o in altri business in giro per l’Asia: più che una famiglia, una holding.

Telefonia, rete in rame addio, da Agcom ok a switch-off altre 1342 centrali

Telefonia, rete in rame addio, da Agcom ok a switch-off altre 1342 centraliRoma, 6 ott. (askanews) – L’Autorità delle comunicazioni (Agcom), nella riunione di Consiglio del 27 settembre 2023, ha approvato, con il voto contrario della Commissaria Elisa Giomi, gli esiti delle attività di vigilanza condotte su un secondo lotto di centrali locali in rame per le quali TIM ha comunicato l’intenzione di procedere allo switch-off della rete primaria in rame. Le verifiche svolte hanno accertato che n. 1.342 centrali risultano rispettare i requisiti previsti dalla regolamentazione vigente, in termini di copertura NGA e percentuale di migrazione dei clienti dal rame alla fibra, per avviare il relativo processo di decommissioning. Lo rende noto la stessa autorità in un comunicato.

TIM ha proposto, sin dal 2017, un Piano per il progressivo decommissioning della sua rete di accesso in rame che prevede la chiusura di circa 6.000 delle 10.000 centrali di accesso della rete. I clienti finali – collegati alle centrali oggetto di switch-off – continueranno ad usufruire dei servizi di accesso alla rete fissa, ma saranno migrati, nella quasi totalità dei casi, sulla nuova rete in fibra ottica (Fiber to the Home o di tipo misto fibra-rame Fiber to the Cabinet), o, in casi marginali, sulla rete misto fibra-wireless (Fixed Wireless Access). Le procedure, i requisiti e le tempistiche relative all’attuazione del Piano, individuate al fine di preservare le condizioni di competizione nel mercato dell’accesso, sono regolate dalla Delibera n. 348/19/CONS del 18 luglio 2019, recante Analisi coordinata dei mercati dei servizi di accesso alla rete fissa ai sensi dell’articolo 50 ter del Codice. L’elenco delle 1.342 centrali, che si aggiungono alle 62 già valutate e approvate con la Delibera n. 34/21/CONS, è stato pubblicato sul sito web dell’Autorità, con la Delibera n. 238/23/CONS anche ai fini dei necessari tempi di preavviso al mercato, al solo decorrere dei quali potrà essere avviato il processo di migrazione.

Intesa Sanpaolo investe in SpaceX, società spaziale di Elon Musk

Intesa Sanpaolo investe in SpaceX, società spaziale di Elon MuskRoma, 6 ott. (askanews) – Intesa Sanpaolo annuncia un investimento in SpaceX (Space Exploration Technologies Corp), l’azienda aerospaziale di proprietà di Elon Musk, il miliardario che possiede anche Tesla e Twitter, “in coerenza con il piano d’Impresa 2022-2025 che fa dell’innovazione uno dei suoi principali pilastri”. SpaceX, con sede a Hawthorne in California, è leader mondiale nel settore dell’esplorazione spaziale, ricorda la banca in una nota.

SpaceX è diventata nota a livello mondiale per una serie di imprese storiche, ricorda Intesa. È l’unica azienda privata capace di lanciare in orbita e riportare a terra un veicolo spaziale. Nel 2012 Dragon è stato il primo veicolo spaziale commerciale a consegnare un cargo per e dalla Stazione Spaziale Internazionale e nel 2020 è stata la prima compagnia privata a trasportare delle persone nella medesima stazione. Il suo Falcon 9 è tutt’ora il primo e l’unico modulo spaziale (rocket) riutilizzabile. Questo permette a SpaceX di riutilizzare le componenti più costose del veicolo, riducendo quindi i costi di accesso ai viaggi spaziali. Grazie a questi importanti risultati, SpaceX sta sviluppando il progetto Starship, una nuova generazione di veicoli spaziali di lancio completamente riutilizzabili che saranno i più potenti mai realizzati, capaci di trasportare persone su Marte e verso altre destinazioni del sistema solare.

SpaceX può contare, inoltre, sulla sua vasta esperienza nel campo dei vettori spaziali e delle operazioni in-orbita per sviluppare i più avanzati sistemi di comunicazione internet a banda larga. Starlink è il primo sistema satellitare internet più capillare a livello mondiale capace di offrire connessioni ad alta velocità in tutto il mondo, supportando servizi di streaming, giochi online, video-chiamate e altro. Intesa Sanpaolo, in tale contesto, ha riconosciuto al settore aerospaziale un ruolo di particolare rilievo nello sviluppo delle economie mondiali e ha pertanto deciso di investire in un player che ha dimostrato una visione d’avanguardia del prossimo futuro, conclude la banca.

Cina apre parco eolico sull’Himalaya a quota 5.200 m

Cina apre parco eolico sull’Himalaya a quota 5.200 mRoma, 6 ott. (askanews) – La Cina ha aperto sull’Himalaya quello che apparentemente è il parco eolico più alto del mondo, in una spinta per testare anche i limiti tecnici di una tecnologia che ha un ruolo importante nella transizione energetica.

Nella regione autonoma del Tibet, secondo quanto ha scritto oggi il South China Morning Post, il parco eolico costruito nella contea di Comai, a un’altitudine che arriva a 5.200 metri, è stata collegata alla rete elettrica. Al momento sono attive 15 turbine eoliche. Il progetto è stato finanziato dalla Three Gorges Corporation, di proprietà statale. Si prevede che le 15 turbine, con capacità per singola unità fino a 3,6 megawatt (MW) – un record per i parchi eolici ad alta quota in Cina – genereranno 200 milioni di kilowattora di elettricità pulita all’anno.

Secondo una dichiarazione di Three Gorges su WeChat, ciò equivale al consumo energetico annuo di 140mila famiglie locali, ovvero più del 10% di tutte le famiglie tibetane. La sua produzione annuale di energia, se pienamente realizzata, potrebbe far risparmiare più di 60mila tonnellate di carbone ogni anno, riducendo 173mila tonnellate di emissioni di anidride carbonica e 20 tonnellate di emissioni di anidride solforosa, secondo quanto ha screitto l’agenzia di stampa statale Xinhua.

Lei Mingshan, presidente della Three Gorges Corp., ha affermato che il progetto “è di grande importanza per lo sviluppo di più impianti eolici ad altissima quota in Cina, nonché per lo sviluppo economico e sociale della regione”. Secondo un rapporto sull’energia elettrica del China Electricity Council di luglio, la Cina, il più grande produttore mondiale di energia rinnovabile, ha generato il 36,2% della sua elettricità da combustibili non fossili nel 2022. In totale, l’8,8% dell’elettricità cinese proviene dal vento.

L’anno scorso la capacità eolica installata nel paese ha raggiunto i 365 gigawatt (GW), pari al 40% del totale globale e al primo posto a livello mondiale per 13 anni consecutivi. La collocazione di un parco eolico ad altitudine così elevata è una sfida tecnica. La quantità di energia generata dalle turbine è correlata sia alla densità dell’aria che alla velocità del vento, l’efficienza di una turbina viene ridotta dall’aria rarefatta nelle aree ad alta quota. Pertanto, per aumentare la produzione di energia da una singola unità, le turbine appena installate hanno un diametro del rotore di 160 metri, ovvero circa 20 metri più lungo rispetto a unità comparabili in altre regioni. Ciò aumenta la circonferenza delle pale rotanti di quasi il 30%. Per funzionare in modo efficiente in un ambiente estremo, tutte le turbine sono dotate di rivestimenti elastici, moduli di protezione UV e contro i fulmini e cavi spessi, secondo i commenti nei media statali del direttore tecnico del progetto, Li Chunshan. Three Gorges Corp., che gestisce anche la più grande diga idroelettrica del paese, ha completato a luglio un altro innovativo parco eolico al largo della provincia del Fujian. Si tratta del primo parco eolico offshore al mondo che utilizza turbine da 16 MW, gestito dalla società. Le turbine dell’impianto sono dotate di torri da 152 metri e ciascuna turbina ha il diametro della girante più lungo del mondo, pari a 252 metri, un’area spazzata di circa 50.000 metri quadrati e il peso per MW più leggero. È in grado di produrre più di 66 gigawatt di elettricità pulita all’anno.

Anish Kapoor a Palazzo Strozzi, antologia dell’irrealtà

Anish Kapoor a Palazzo Strozzi, antologia dell’irrealtàFirenze, 6 ott. (askanews) – Il mondo di Anish Kapoor, uno dei più noti artisti contemporanei, entra prepotentemente dentro gli spazi di Palazzo Strozzi a Firenze con una mostra antologica che letteralmente sembra scaraventare la materia di Kapoor nel museo, a volte con una sorta di esplosione, a volte con un aprire degli spazi che hanno la forza di attrarre sia le sale sia il visitatore. A curare l’esposizione il direttore della Fondazione Palazzo Strozzi, Arturo Galansino. “La mostra Anish Kapoor – Untrue Unreal percorre 40 anni di ricerca, in particolare sul tema della scultura, di un artista che, per quanto riguarda l’arte contemporanea, ha cambiato il concetto stesso di scultura”.

Dalle masse di colore che attraversano le porte del palazzo fino alle grandi opere a specchio che cambiano, lucidandola, la percezione del mondo, l’opera di Kapoor, così legata all’idea stessa di pigmento, ma tridimensionale, si incontra con dei salti temporali, che contribuiscono a rendere più incerto il rapporto con la realtà, già di per sé sfuggente, del lavoro in cui ci imbattiamo. “È tutto un discorso intorno alle nostre percezioni – ha aggiunto Galansino – al modo in cui interagiamo con queste sculture, che spesso sono molto interattive e presuppongono la partecipazione dello spettatore, e a volte riescono anche a impressionarci, a sorprenderci, a spaventarci, come questi buchi neri che di fatto quasi ci risucchiano al loro interno, mettendoci a confronto con il nostro inconscio”. E se di inconscio si parla, è inevitabile trovarsi a fare i conti con territori di confine tra vero e falso, tra reale e irreale, tra percezione e struttura, con punti di frattura e anche di dolore. “C’è in qualche modo un senso di disperazione – ha detto Anish Kapoor in conferenza stampa – che è legato alla condizione umana, e per questo io credo che il confronto con ciò che non è vero e ciò che non è reale sia una situazione ricorrente”.

La mostra fiorentina è poi un altro esempio del modo in cui Palazzo Strozzi consolida il ruolo del contemporaneo sulla scena culturale della città e del territorio toscano: grandi nomi, ma chiamati poi a ricontestualizzare il proprio lavoro in relazione agli spazi e al luogo, potenziali mostre blockbuster che però non nascondono il proprio lato, se non oscuro, almeno decisamente complesso. In questo Galansino è abilissimo: farci vedere in modo lievemente diverso, o fuori fuoco per citare Robert Capa, qualcosa che pensiamo di conoscere bene. Perfino le superfici perfette e instagrammabili di Kapoor. (Leonardo Merlini)

Un bambino su 10 salta colazione, il pediatra: sia vissuta in famiglia

Un bambino su 10 salta colazione, il pediatra: sia vissuta in famigliaMilano, 6 ott. (askanews) – Se quasi nove italiani su 10 dichiarano di far colazione al mattino, un bambino su 10 la salta e uno su tre, ci dice l’Istituto superiore di sanità, consuma un pasto non adeguato o troppo veloce. Eppure dalla tenera età fino all’adolescenza, il primo pasto del mattino non andrebbe mai saltato: “Consumare un’adeguata colazione è infatti fondamentale per non far abbassare i livelli glicemici e non avvertire quel senso di fame durante tutta la mattina, che provoca voracità e un maggiore assorbimento di ciò che si mangia. Numerosi studi scientifici hanno inoltre appurato che nei bambini c’è un rapporto diretto tra il consumo di una colazione completa e la capacità di concentrazione a scuola, l’apprendimento, l’umore e la memoria”. A confermarlo è “A scuola di salute”, la guida dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù che, in collaborazione con Io comincio bene, l’iniziativa di Unione italiana food sulla prima colazione in Italia, ha ribadito la centralità della colazione nell’alimentazione dei più piccoli.

“Per i bambini – spiega Giuseppe Morino, pediatra dietologo dell’Ospedale Bambino Gesù – il salto della colazione è dovuto alla mancanza di appetito al mattino o alla fretta. Quando non si avverte fame al risveglio, il motivo va ricercato in una cena poco equilibrata o consumata troppo tardi, oppure in un sonno scarso e di pessima qualità. Il rimedio che i genitori possono adottare in questi casi è di proporre ai propri figli una cena equilibrata e mandarli a dormire a un orario adeguato alla loro età”. Saltare la prima colazione espone i bambini ad un maggior rischio di carenza di vitamine, oltre ad avere controindicazioni quali aumento di peso e irascibilità. Le ripercussioni sono molteplici: non solo si riduce il rendimento scolastico, ma aumenta anche la fame per la merenda del mattino, che spesso diventa eccessiva e con un carico elevato di carboidrati. “Fare colazione – osserva Morino – è utile anche per regolare l’appetito e può migliorare la risposta alla glicemia e aumentare la sensibilità all’insulina nel pasto successivo”.

Studi condotti dall’Istituto superiore di sanità hanno evidenziato come saltare la prima colazione già da bambini può persistere come pratica scorretta anche in età adulta: infatti, è durante l’infanzia che si costruiscono le principali abitudini, delle quali non potremo fare più a meno da adulti e che sarà difficile modificare nel tempo. “Per stimolare i bambini a fare colazione ogni giorno – consiglia Morino – è importante sforzarsi per farla diventare ‘un pasto vissuto in famiglia’. Sedersi al mattino tutti insieme, quando possibile; apparecchiare una bella tavola imbandita e colorata e variare il menù mattutino in base ai gusti di tutti i componenti del nucleo familiare”. “Una corretta alimentazione – conclude Morino – prevede al mattino il consumo di un pasto completo, costituito da una parte liquida (solitamente latte, ma per chi non lo ama o non lo tollera anche le bevande a base vegetale sono una buona alternativa) e una parte solida. Le quantità consumate dovranno variare in relazione all’età, prevedendo un apporto calorico di circa il 20% di tutte le calorie consumate giornalmente”.