JR alle Gallerie d’Italia di Torino: il mio lavoro è di tuttiTorino, 8 feb. (askanews) – “Io sono cresciuto nelle banlieue di Parigi e la mia arte è nata da lì, dai problemi sociali che ho visto nel mio ambiente e quando viaggio nei vari Paesi del mondo la gente non mi riconosce, ce ne sono solo uno o due che mi dicono che hanno visto il mio lavoro.Però le persone vengono lo stesso, perché è anche un modo per dare visibilità alla loro situazione. La mia arte è raggiungere la gente, anche qui a Torino, come abbiamo visto ieri; anche alla fine del mondo in Mauritania, dove sono andato senza pensare che la gente ha visto il mio lavoro, ma quando hanno visto l’immagine gigante del bambino si sono riconosciuti, non c’era bisogno di conoscere il mio lavoro”. Si è presentato così JR, uno degli artisti più noti della scena contemporanea e, al tempo stesso, soggetto anomalo e difficile da classificare nel grande e spesso problematico mare del Sistema dell’arte. Le sue azioni collettive e sociali, pur con una semplicità quasi difficile da immaginare, sono veri e propri scossoni a un palazzo che raccoglie in sé tante e spesso meravigliose contraddizioni, ma che è anche dominato in larga parte da fenomeni economici e tecnologici, più che sociali. Invece nell’artista francese, che pure è amato dai galleristi e usa la tecnologia, la dimensione sociale resta primaria.
Intelligente e delicato, ma anche molto abile nella comunicazione, JR ribadisce che “non sono una artista impegnato, sono un artista ‘ingaggiante’, che lavora con la gente, che cerca un’immagine per loro, che pone domande. Io voglio scoprire situazioni che non conosco, voglio viaggiare e trovare delle storie che abbiamo senso per le persone”. A Torino le Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo ospitano la sua prima mostra personale in Italia, “Déplacés.e.s”, curata da Arturo Galansino e per l’occasione è andata in scena il 7 febbraio anche una grande performance collettiva tipica della pratica di JR. Che ha anche parlato di quando ha deciso che quella dell’arte sarebbe stata la sua strada. “Sono diventato un artista durante le proteste delle banlieue nel 2005 – ha raccontato – che ho documentato con le mie fotografie. Il mondo a quel punto ha conosciuto il mio lavoro e io ho cominciato a prendere coscienza della forza delle mie immagini”.
Poi però poi torna alle persone, alla relazione con loro invece che con la dimensione di superstar artistica, cosa che JR sicuramente è, ma che entra nel suo lavoro soprattutto come cassa di risonanza per le storie che poi va a raccontare, senza prestare, almeno a parole, troppa attenzione alla “firma” dell’artista acclamato. “Il mio lavoro è di tutti – ci ha spiegato JR – perché queste grandi immagini sono immagini dei bambini, non c’è il mio nome sopra, è solo la loro foto. E l’importante è creare questa partecipazione della gente, perché questa è l’arte: la comunione di persone che non si conoscono sono una scusa per mettere in relazione tutta questa gente”.
La mostra è curata da Arturo Galansino, direttore di Palazzo Strozzi che proprio a Firenze aveva portato durante la pandemia il lavoro dei JR “La Ferita”, sulla facciata rinascimentale del museo. E a lui abbiamo chiesto di dirci che tipo di ragionamento museologico sta alla base del progetto delle Gallerie d’Italia, a fronte di un lavoro dell’artista molto orientato all’effimero e all’azione. “JR – ci ha risposto Galansino – basa il suo lavoro sulla fotografia, sulla documentazione fotografica: il suo lavoro inizia da fotografo, ma certo è molto altro e comprende la partecipazione di persone, l’attivazione attraverso i canali social e molti altri modi. Così questa mostra è un grande ibrido nel quale tutte queste cose si sommano in questo formato difficile da categorizzare”.
“È la prima volta – ha aggiunto Michele Coppola, direttore delle Gallerie d’Italia ed Executive Director Arte, Cultura e Beni storici di Intesa Sanpaolo – che lui sceglie di ‘occupare’ un museo in maniera integrale e il risultato è eccezionale. Se si pensa poi che le immagini che vediamo qui riprodotte sulle pareti, i video che presenta in un certo senso impongono di condividerli a nostra volta, di diventare ambasciatori del suo messaggio, ecco, credo che il cerchio si sia chiuso perfettamente”.
In fondo quella che emerge è una storia museale quasi impossibile e, per questo, tanto interessante quanto contemporanea, nel senso proprio della “pratica” del pensare e realizzare mostre che vanno oltre lo spazio fisico che le ospita, cosa che qui a Torino è evidente. E arriva a toccare corde molto sottili, nonostante l’immediatezza delle opere di JR e la loro forza, in un certo senso “elementare”, che a volte rende dubbiosi i critici sul suo status di artista. “Credo che la cosa importante qui oggi – ha detto ancora Arturo Galansino – sia vedere come, grazie alla sua energia e alla capacità di coinvolgere migliaia e milioni di persone in questi anni riesca a fare parlare di temi importanti, di argomenti così urgenti che spesso rifiutiamo perché sappiamo dei problemi dei campi profughi, ma è difficile conoscerli dal vero. JR ce li fa conoscere in modo diverso, con uno sguardo dal basso, che non si ferma solo ai lati drammatici. I campi profughi sono un fenomeno tipico della globalizzazione e in 10 anni è decuplicato il numero dei rifugiati, che oggi sono 100 milioni. Fare questa cosa con la gioia e la freschezza con cui lo fa lui credo sia una cosa eccezionale, artista o non artista”.
E infine, ma anche questo è un tema enorme, c’è l’aspetto della banca che organizza, promuove e ospita la mostra, mettendosi in gioco insieme a JR e alle persone che lui coinvolge. “È facile ragionare sul dividendo sociale delle imprese private – ha concluso Coppola – Intesa Sanpaolo è una grande banca con una lunga storia e il suo impatto sociale, il dividendo sociale è sotto gli occhi di tutti: anziché vendere palazzi li trasforma in musei, continua ad assicurare a quegli edifici una funzione chiara per la comunità nella quale sono presenti. Ma c’è anche un dividendo sociale che è immateriale: quello che è accaduto ieri, con le persone che si sono incontrate e che hanno deciso di partecipare e di dare il loro contributo a qualcosa che aveva un messaggio, di pace, di speranza o di preoccupazione. Che questo avvenga grazie alla visione illuminata di un’impresa privata italiana che è una banca è un unicum che secondo me come Sistema Italia dobbiamo guardare, perché non ce ne sono tanti nel mondo di esempi così”.
La mostra, realizzata in collaborazione con la Fondazione Compagnia di San Paolo, è aperta al pubblico fino al 16 luglio in piazza San Carlo.
(Leonardo Merlini)