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Tag: Sanremo 2023

Capitale cultura, Mattarella: ricchezza dell’Italia è sua pluralità

Capitale cultura, Mattarella: ricchezza dell’Italia è sua pluralitàRoma, 18 gen. (askanews) – “La ricchezza del nostro Paese sta nella sua pluralità. Nella sua bellezza molteplice. A fornire pregio particolare all’Italia sono proprio le sue preziose diversità, le cento capitali che hanno agito, nell’arco di secoli, come luoghi capaci di esprimere comunità. Una grande ricchezza, per il nostro percorso nazionale. Eredità ricevuta dai nostri padri. E tesoro da investire per il domani dei nostri figli”. Lo ha detto il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, intervenendo ad Agrigento alla cerimonia di apertura di Agrigento Capitale della cultura.

Melbourne, Sonego agli ottavi agli Australian Open

Melbourne, Sonego agli ottavi agli Australian OpenRoma, 18 gen. (askanews) – Lorenzo Sonego conquista per la prima volta l’accesso alla seconda settimana degli Australian Open, dove in precedenza si era fermato sempre al 3° turno. Decisiva un’altra super rimonta, questa volta arrivata contro Fabian Marozsan, ungherese n.59 del mondo, giustiziere di Frances Tiafoe. 6-7, 7-6, 6-1, 6-2 i parziali in oltre tre ore di gioco per l’eroe di Malaga 2023, che andrà a caccia di uno storico quarto di finale affrontando il sorprendente statunitense Learner Tien, 121 del mondo e capace di eliminare Daniil Medvedev. Tra i due giocatori non ci sono precedenti.

Capitale Cultura,Schifani: non perderemo questa scommessa

Capitale Cultura,Schifani: non perderemo questa scommessaAgrigento, 18 gen. (askanews) – “Agrigento Capitale della Cultura è una grande scommessa, non possiamo perderla e non la perderemo”. Lo ha detto il presidente della Regione siciliana, Renato Schifani alla cerimonia di inaugurazione di Agrigento Capitale italiana della Cultura 2025″ al Teatro Luigi Pirandello.


“Quella che si celebra oggi è una grande occasione per tutti gli italiani, non solo per il rilancio ed il riscatto di Agrigento , e dell’intera Sicilia, che hanno sofferto e superato stereotipi a livello internazionale, affrontando e risolto in parte sfide sociali non indifferenti” ha poi detto Schifani.

Ucraina, missili russi colpiscono il centro di Kiev (anche una stazione metro): morti e feriti

Ucraina, missili russi colpiscono il centro di Kiev (anche una stazione metro): morti e feritiRoma, 18 gen. (askanews) – Almeno quattro persone sono morte a Kiev durante l’attacco russo sferrato nella notte sulla capitale ucraina. “Purtroppo abbiamo già quattro morti nella Raion Shevchenkivsky e tre feriti”, ha annunciato questa mattina su Telegram Tymur Tkatchenko, capo dell’amministrazione militare di Kiev, dopo l’attacco russo alla città. L’aeronautica ucraina, da parte sua, ha dichiarato di aver abbattuto durante la notte due missili balistici Iskander e 24 droni d’attacco russi. I missili abbattuti “sono caduti” sulla centrale Shevchenkivsky Raion di Kiev, danneggiando un edificio industriale, un passaggio che porta alla metropolitana ed edifici residenziali, secondo la stessa fonte, aggiungendo che l’approvvigionamento idrico locale è stato temporaneamente compromesso.


In un post su Telegram, il presidente ucraino Zelensky ha inviato un messaggio di condoglianze ai familiari e agli amici delle vittime e – postando un video della distruzione – ha spiegato che un attacco missilistico russo alle prime ore del mattino “al centro di Kiev ha danneggiato edifici residenziali, una stazione della metropolitana, negozi, bar e infrastrutture civili”. Le forze russe, inoltre, hanno attaccato il centro di Zaporizhzhia, nel sud del Paese. “Si sa che dieci persone – riferisce Zelensky – sono rimaste ferite e altre potrebbero essere rimaste sotto le macerie. Le infrastrutture sono state distrutte e molte case e negozi sono stati danneggiati”. “Tutti coloro che aiutano la Russia in questa guerra dovrebbero subire una pressione tangibile per questi attacchi. Possiamo farlo solo uniti al mondo intero”, conclude Zelensky. Il sindaco della città, Vitali Klitschko, ha sottolineato in un post sui social, che le difese aeree sono state attive nella capitale tutta la notte.


“Un’altra prova che Putin vuole la guerra, non la pace”, ha commentato il ministro degli Esteri ucraino Andrii Sybiha in un messaggio pubblicato sui social, dopo l’attacco russo a Kiev. Il presidente russo “deve essere costretto ad accettare una pace giusta con la forza e la massima pressione economica e militare”, ha aggiunto. La capitale è spesso presa di mira da droni e missili russi, ma le vittime sono rare a Kiev, che è fortemente protetta da sistemi di difesa aerea e in grado di respingere gli attacchi meglio che in qualsiasi altra parte del Paese.

In libreria “Un pezzo alla volta”, memoire di vita (e giornalismo) di Michele Gambino

In libreria “Un pezzo alla volta”, memoire di vita (e giornalismo) di Michele GambinoMilano, 18 gen. (askanews) – “A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?”. Sono parole di Giuseppe Fava, il direttore del mensile “I Siciliani” assassinato dalla mafia nel 1984 a Catania. E’ questo principio etico applicato al giornalismo che ha ispirato l’intera vita di Michele Gambino. Giornalista d’inchiesta tra i più apprezzati, premio Ilaria Alpi per i suoi reportage dall’Afghanistan e scrittore, Gambino ripercorre la sua vita professionale e umana con “Un pezzo alla volta – Storia di un giornalista e del suo tempo” (Manni Editore), un’opera autobiografica di impegno civile che segue i suoi precedenti lavori “Enjoy Sarajevo” e “L’isola”, quest’ultimo scritto con Claudio Fava.


Un pezzo alla volta, indicato tra i papabili del premio Strega dall’autorevole rivista letteraria “Il libraio”, è un viaggio intenso e personale, una narrazione che intreccia alcuni dei momenti più significativi della vita professionale e privata dell’autore. Fin da giovanissimo, nella Catania “profondo sud di Milano”, Gambino si è ritrovato immerso nel giornalismo d’inchiesta: ha affrontato la mafia con quel coraggio che fa superare le proprie paure per il fatto stesso di essere incessantemente impegnati nella ricerca di verità e giustizia: è dentro le cose che accadono e non può essere che questo l’istinto che lo guida. Per lui, il giornalismo è sempre stato una lotta contro i luoghi comuni. “Giornalismo palombaro”, l’ha definito in un’intervista, che scende in profondità, non giornalismo da surfista. E’ con queste lenti che l’autore disvela l’altra Catania degli anni Ottanta, una città intrisa di mafia, ma cieca o volutamente indifferente. E quando la battaglia contro la criminalità organizzata in Sicilia sembra, o forse è, perduta, Gambino cerca altrove. Ma la calamita è quella: raccontare, senza pesare pericoli e disagi, storie di sfruttamento e ingiustizia, sempre dalla parte delle vittime. Storie come quella degli esmeralderos colombiani, costretti a vivere in condizioni estreme, raccontati da un bar dal nome “Aqui la vita no vale nada”, qui la vita non vale niente. Come i reportage sull’assedio di Sarajevo, dove è stato a un passo dall’uccidere un uomo. O quegli interminabili undici passi per uscire dalla roulette russa di un campo minato in Afghanistan.


Della prima guerra da inviato a Beirut, Gambino racconta l’assuefazione di chi ci si ritrova dentro e la tragica banalità quotidiana della vita durante i conflitti: dalla Green line bastavano pochi minuti per passare dalle trincee con i morti ammazzati – tutti i giorni in pausa pranzo – alla stridente normalità del ristorante con tovaglie di lino e camerieri in giacca bianca. Il no di Gambino alla guerra, la sua penna contro la ferocia dell’uomo, è netto. Ma al fronte la guerra – forse la parola più frequente del libro – diventa per lui “passione tossica”, come confessa egli stesso, nelle pagine di “Un pezzo alla volta”, anni dopo. Lo diventa per chi continua a nutrirsi di paura e dolore, come l’inviato che ne è testimone diretto e che “smania per essere al centro delle cose”. E’ quella “fame di guerra” che “fa toccare la corda guasta” dentro di sé. La guerra in qualche modo anche “eccitante”, che attrae l’autore “perché ci dice chi siamo, e replica la lotta per la vita di ogni essere umano in una forma essenziale, depurata dalle buone maniere, dall’ipocrisia del ‘va tutto bene’ e dalle incombenze noiose, come pagare le bollette e stare in coda nel traffico”.


Per il giornalista-palombaro l’approdo è scontato: le inchieste di mafia degli Anni Novanta, i libri sui misteri d’Italia, le “biografie non autorizzate” su Andreotti e Berlusconi, passando per due grandi scoop: il massacro di Timosoara (mai accaduto) e quello sugli omicidi della Uno Bianca, sul quale sono state recentemente riaperte le indagini. Sono anni, anzi decenni, che si snodano tra l’impegno civile e gli interrogativi che da uomo ormai maturo riflette sul senso di una scelta di vita senza compromessi, scelta consegnare “un mondo migliore, o perlomeno non peggiore” innanzitutto a chi ama di più: la figlia. “Combattere per qualcosa in cui si crede è uno dei regali che la vita ci fa oppure – come dice citando lo scrittore turco Ohran Pamuk – una palla al piede del talento? Esiste un modo per attutire quel senso di inadeguatezza che si prova tra il totalizzante sforzo di rendere il mondo un posto migliore e il desiderio di una vita quotidiana che permetta di coltivare relazioni, affetti e una certa “normalità” dello stare al mondo? “Bisogna struggersi, turbarsi, battersi, sbagliare, ricominciare daccapo e buttare via tutto, e di nuovo ricominciare e lottare e perdere eternamente”, dice Gambino. Forse, suggerisce questo memoir di vita, quel che conta è solo cercare di vivere con onore.


(Marco D’Auria)

Concluso evento ‘La mafia ieri e oggi: non ci avete fatto niente’

Concluso evento ‘La mafia ieri e oggi: non ci avete fatto niente’Roma, 18 gen. (askanews) – Si è conclusa ieri sera ad Altamura la due giorni dedicata alla promozione della cultura della legalità e al contrasto alla mafia, un evento organizzato dal Rotary Club, che ha raccolto figure istituzionali e cittadini provenienti da tutta la Puglia per ricordare il sacrificio di chi ha lottato contro la criminalità organizzata.


La manifestazione, intitolata “Mafia Ieri e Oggi: Non Ci Avete Fatto Niente”, è stata un momento di profonda riflessione sulla memoria delle vittime e sull’importanza di un impegno costante nella lotta contro la mafia. Durante la prima giornata, la teca contenente i resti della Quarto Savona Quindici, l’auto di scorta del giudice Giovanni Falcone, è stata accolta con una cerimonia solenne in Piazza della Resistenza alla presenza del sindaco di Altamura Vitantonio Petronella.


Ieri sera si è tenuto l’evento principale della due giorni, una tavola rotonda moderata da Enzo Magistà direttore del TGNorba che si è aperto con un messaggio inviato dal Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, nel quale ha sottolineato l’importanza di un impegno collettivo contro la criminalità organizzata. “La teca della Quarto Savona Quindici non è un semplice simbolo, ma un invito potente a riflettere e agire contro la criminalità organizzata, che mina le fondamenta della nostra società civile. Lo Stato è presente per proteggere e supportare chi sceglie la legalità”, ha detto il Ministro. Alla tavola rotonda hanno preso parte Tina Montinaro, vedova di Antonio Montinaro capo scorta di Giovanni Falcone, Roberto Rossi Procuratore capo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bari, Massimo Gambino Questore di Bari, Felice Romano Segretario Nazionale del SIULP, don Angelo Cassano referente Puglia per l’Associazione “Libera”, Lucia Forte AD di Oropan Spa e Lino Pignataro Governatore del Rotary Distretto 2120.


Tina Montinaro, vedova di Antonio Montinaro, caposcorta del giudice Falcone, ha evidenziato la necessità di sensibilizzare le nuove generazioni, dichiarando: “Parlare ai giovani è fondamentale per far loro capire chi sono stati i mafiosi e cosa hanno fatto. È un dovere far conoscere il loro passato e ricordare che, anche se la mafia ha cambiato pelle, continua a esistere”. Il Procuratore Capo della Procura della Repubblica di Bari, Roberto Rossi, ha espresso ottimismo riguardo alla possibilità di sconfiggere la mafia grazie al lavoro di squadra tra magistratura, forze dell’ordine e società civile. “La mafia è destinata a scomparire, come diceva Falcone, ma questo dipende dal nostro impegno e dalla capacità di adattarci ai cambiamenti della criminalità organizzata. A Bari, tutti gli omicidi di mafia degli ultimi vent’anni sono stai risolti, eliminando il senso di invincibilità della mafia”.


Felice Romano, Segretario Nazionale del SIULP, ha sottolineato l’importanza dell’unità tra società civile e istituzioni nella lotta contro la mafia. “Questi momenti in cui tutta la società civile, insieme alle istituzioni preposte, stanno insieme e fanno squadra completano quel cerchio che i Falcone, i Borsellino e tutti i colleghi e magistrati che hanno donato la loro vita per la legalità di questo Paese definivano il colpo mortale alle mafie. Ecco perché questa è una serata molto importante”. Romano ha inoltre evidenziato come la mafia di oggi sia ancora più insidiosa rispetto al passato: “Non usa più la violenza per il controllo sociale, non spara, ma è assai più pericolosa perché si sta insinuando nelle istituzioni, cercando il consenso sociale. Abbiamo bisogno del supporto della società civile per sradicare questi percorsi subdoli, rompendo i legami con quella politica malsana che, come diceva un vecchio procuratore nazionale antimafia, è come l’acqua per i pesci, così la mafia è per la politica”.

I Follya e il diritto degli uomini ad esprimere le emozioni

I Follya e il diritto degli uomini ad esprimere le emozioniMilano, 18 gen. (askanews) – Venerdì 24 gennaio esce “Don’t cry” (Benzai Records / distribuito da ADA Music Italy), il nuovo singolo dei Follya. In un panorama musicale che spesso celebra una mascolinità tossica, fatta di forza ostentata e virilità stereotipata, i Follya, composti da Alessio Bernabei (voce), Alessandro Presti (basso) e Riccardo Ruiu (batteria), scelgono di raccontare una storia diversa. Con “Don’t cry” la band affronta un tema urgente e spesso trascurato: il diritto degli uomini di esprimere le proprie emozioni.


“La musica è uno specchio della società – raccontano i Follya – riflette i suoi valori, li amplifica e li trasmette. È un linguaggio universale che ispira le nuove generazioni, influenzando il modo in cui vedono il mondo e se stesse. Per questo, gli artisti dovrebbero riflettere con responsabilità sui messaggi che veicolano”. La mascolinità tossica è ancora oggi una delle manifestazioni più diffuse e dannose delle aspettative sociali. Con questo nuovo brano, i Follya scelgono di affrontare questo tema con un approccio fresco e ironico, invitando a riflettere su cosa significhi davvero essere uomini oggi. “DON’T CRY” diventa così un manifesto musicale che sfida le convenzioni, proponendo un futuro in cui la fragilità non è più vista come un difetto, ma come una qualità che ci rende autentici, umani e vicini agli altri.


“Perché ci insegnano fin da piccoli che “i veri uomini non piangono”? È una bugia che ci rende infelici e soli – raccontano i Follya – In un periodo storico così delicato, dominato da una società che alimenta ogni giorno il maschilismo tossico, con questo brano abbiamo sentito il dovere di andare controcorrente. Se c’è una cosa che ci rende davvero forti, è proprio il coraggio di essere vulnerabili”. I Follya sono una band nata nel 2022, che non si pone limiti di linguaggio o sound, fondendo essenza pop con mondi onirici e distopici. La loro musica spazia tra powerpop, synthwave e alternative rock. Prima di diventare i Follya, i membri della band erano noti come i Dear Jack, gruppo che ha conquistato il grande pubblico nel 2014. Dopo anni di successi e trasformazioni, i musicisti decidono di intraprendere un nuovo percorso artistico. A novembre 2023 esce il loro album di debutto “Follya”, pubblicato con Universal Music Italy e anticipato dai singoli “Morto per te”, “Tutt’okkei”, “Tuta spaziale”, “Mister” e “Toxic”. A distanza di un anno, lo scorso novembre, la band è tornata sulla scena musicale con una veste completamente rinnovata, presentando il brano “Numero uno”.

Meloni lunedì da Trump, unica leader europea presente

Meloni lunedì da Trump, unica leader europea presenteRoma, 18 gen. (askanews) – Chissà se Giorgia Meloni è una fan di Nanni Moretti (pensiamo di no), ma sicuramente il tira e molla sulla sua partecipazione all’Inauguration Day è sembrato molto simile al “mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?” di “Ecce Bombo”. Alla fine, dopo giorni di dubbio sulla possibilità di andare o meno a Washington lunedì, la conferma è arrivata con un “a quanto si apprende” diffuso solo venerdì 17 alle 23.08.


Facciamo un passo indietro. Alla conferenza stampa di inizio anno, il 9 gennaio, la premier aveva confermato di essere stata invitata da Trump durante l’incontro di pochi giorni prima a Mar-a-Lago. “Mi fa piacere esserci, lo sto valutando sulla compatibilità di agenda. Se riesco volentieri partecipo”, aveva spiegato nell’incontro con i giornalisti. La presidente del Consiglio, secondo alcune indiscrezioni, avrebbe anche accarezzato l’idea di poter essere la prima leader ricevuta in bilaterale da Trump alla Casa Bianca (il 21), rompendo una “tradizione” che vuole questo incontro riservato al primo ministro britannico, che però non è stato neppure invitato. Dal 9 gennaio la posizione è rimasta fino all’ultimo di dubbio. “Siamo 50-50”, il mantra ripetuto da Palazzo Chigi negli ultimi giorni, fino al messaggio notturno di venerdì. Meloni sarà dunque l’unica leader europea presente, dopo il forfait di Viktor Orban. Insieme a lei, tra gli ospiti, ci sarà il presidente argentino Javier Milei, promotore della cosiddetta “Internazionale sovranista”, mentre l’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro non potrà essere presente perché gli è stato ritirato il passaporto, dato che è sotto indagine per il suo presunto ruolo nel tentato colpo di Stato del gennaio 2023. Non dovrebbero mancare Marion Maréchal, nipote di Marine Le Pen, e Santiago Abascal, numero uno del partito populista spagnolo Vox.


Proprio il “parterre” sembra il principale motivo che ha indotto Meloni a lasciare in sospeso la visita fino all’ultimo momento. Se, come sembra, la sua ambizione è quella di proporsi come “ponte” tra la nuova amministrazione americana e l’Unione europea, la sua presenza a Washington potrebbe essere vista con fastidio a Bruxelles e nelle cancellerie europee, in particolare in Francia e Germania, dove Elon Musk è attivissimo nel sostegno al partito di estrema destra Afd. Evidentemente, però, alla fine ha pesato di più la volontà di rafforzare e mostrare il rapporto privilegiato con il tycoon. Si vedrà alla lunga se il calcolo è stato giusto. Di Alberto Ferrarese e Lorenzo Consoli

Il modello Albania funziona… nel ciclismo

Il modello Albania funziona… nel ciclismoRoma, 18 gen. (askanews) – Il “modello Albania” funziona… per il momento solo nel ciclismo. A tre mesi dall’inaugurazione delle strutture per migranti di Shengjin e Gjader, la collaborazione tra Roma e Tirana si allarga al Giro d’Italia. La corsa rosa, infatti, quest’anno partirà – per la prima volta – proprio dal Paese delle Aquile, in cui si svilupperanno ben tre tappe, a Durazzo, Tirana e Valona. Non è la prima volta che il Giro parte dall’estero, ma tre tappe in terra straniera sono molte, e peraltro importanti: si tratta di una cronometro, nella capitale, e due frazioni di montagna. Poi il trasferimento in Puglia per ripartire alla volta di Roma, dove i ciclisti arriveranno.


Felice, alla presentazione a Roma, il premier albanese e grande amico di Giorgia Meloni Edi Rama: “Fino a qualche anno fa noi eravamo chiusi come la Corea del Nord, l’unico modo per aprirsi al resto del mondo era la radio italiana e seguivamo il Giro d’Italia con Gimondi e Merckx e facevamo il tifo senza vedere le immagini e immaginavamo di poter andare un giorno dall’altra parte del mare. Lo sport ci ha sempre aiutato a sperare e sapevamo che dall’altra parte del mare c’era vita. Vedere oggi l’Albania qui è qualcosa di meraviglioso, sono onorato e grato”. Da parte sua il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha sottolineato l’importanza della “diplomazia dello sport” partendo “da un Paese amico e con questo diamo un forte sostegno ai Balcani occidentali che vogliamo entrino presto nella comunità europea. Aprire all’Albania vuol dire che siamo pronti ad accoglierli in Europa”. E i centri per migranti? Secondo Meloni sono pienamente operativi, ma restano vuoti sostanzialmente per una mancanza di “clienti”. “A me pare che le sentenze della Cassazione diano ragione al governo. La Cassazione dice che spetta al governo stabilire quali siano i Paesi sicuri e che conseguentemente il giudice non possa sistematicamente disapplicare il trattenimento dei migranti che arrivano, ma può invece motivare” casi specifici, ha detto nella conferenza stampa di inizio anno. Dunque, ha aggiunto, “per quello che ci riguarda i centri in Albania sono pronti per essere operativi. Abbiamo un dispositivo pronto a partire in qualsiasi momento; fortunatamente lo scorso anno gli sbarchi sono diminuiti del 60% e negli ultimi giorni si sono quasi azzerati. Però i centri sono pronti ad essere attivati”.


Intanto un altro campo su cui Italia e Albania collaborano è quello dell’energia. Ad Abu Dhabi, a margine della Sustainability Week, il governo italiano, quello albanese e gli Emirati Arabi Uniti hanno firmato un accordo (ancora tutto da implementare per essere concreto) per lo sviluppo di energie rinnovabili in Albania e la loro esportazione verso l’Italia tramite un cavo elettrico sottomarino. Un accordo da un miliardo, “con un grande potenziale”, secondo il ministro Gilberto Pichetto Fratin. A Meloni, che proprio ad Abu Dhabi ha spento 48 candeline in compagnia dello staff e della figlia Ginevra, Rama ha donato un foulard disegnato da lui stesso ed è stato protagonista di un siparietto che ha coinvolto – loro malgrado – i giornalisti, nell’unica occasione di contatto con la premier, che però non ha voluto rilasciare dichiarazioni. “Pensano che tu ce l’abbia con loro”, ha detto il primo ministro albanese alla presidente del Consiglio. “Ma come – la replica – abbiamo passato pochi giorni fa tre ore insieme…”. Poi con i cronisti Rama ha rincarato la dose: “Meloni adora la stampa italiana, lo dice sempre: io sono una donna fortunatissima, con questi giornalisti è fantastico, sono perspicaci. Lo dice con piena ammirazione”. Sarà… Di Alberto Ferrarese e Lorenzo Consoli

Europa indietro tutta, la nuova linea dei Conservatori

Europa indietro tutta, la nuova linea dei ConservatoriRoma, 18 gen. (askanews) – Se finora era stata soprattutto Giorgia Meloni a rappresentare, con un certo successo, la nuova linea della destra moderata, e moderatamente europeista, dell’Ecr, con il cambio alla guida del partito europeo dei Conservatori e l’elezione dell’ex premier polacco Mateusz Moraviecki al posto della stessa Meloni alla sua presidenza le cose cambiano: c’è un evidente spostamento della linea politica dell’Ecr verso la destra estremista anti-europea.


Subito dopo la sua elezione, Morawiecki si è espresso in modo chiarissimo contro l’idea di rimuovere il diritto di veto che oggi blocca spesso le decisioni di politica estera europea, rendendo l’Ue incapace di prendere posizione e di agire sulla scena internazionale, e rendendo difficile, quando non impossibile, realizzare quella ‘autonomia geostrategica’ europea che pure era finora promossa e auspicata dallo stesso Ecr, o almeno dalla sua componente italiana, Fdi, e da Giorgia Meloni. Non solo: l’ex premier polacco ha sparato a zero contro la Commissione europea di Ursula von der Leyen, con cui Meloni rivendica, non a torto, di aver costruito un rapporto privilegiato (anche approfittando del vuoto lasciato in questi ultimi tempi dall’estrema debolezza dell’asse franco-tedesco, a causa dei problemi politici interni dei due paesi). Per Morawiecki, la Commissione ha semplicemente ‘usurpato’ i poteri degli Stati nazionali. Addirittura, ha aggiunto, è proprio questa, e non il diritto di veto degli Stati membri, la ragione della debolezza dell’Europa sulla scena mondiale: ‘Non saremo rilevanti se non elimineremo la burocrazia e la centralizzazione del potere a Bruxelles da parte della Commissione europea. Questo è il principale ostacolo affinché l’Europa torni a essere grande’. Una dichiarazione, pronunciata in inglese, (‘for Europe to be great again’)’, che parafrasa non casualmente l’America ‘great again’ di Donald Trump.


Innanzitutto, nel passaggio da Meloni a Morawiecki c’è un cambiamento di prospettiva notevole, a causa della situazione nazionale retrostante. Il nuovo presidente polacco dell’Ecr è espressione del Partito del diritto e della libertà (Pis), che in Polonia sta conducendo una battaglia durissima contro l’attuale premier del Ppe, Donald Tusk, ex presidente del Consiglio europeo, che ha sconfitto l’estrema destra alle ultime elezioni. Il Pis, dopo anni di potere incontrastato e di contrapposizione a Bruxelles da posizioni molto simili a quelle dell’Ungheria di Viktor Orban (salvo che nella posizione riguardo alla Russia), ha dovuto cedere la guida del governo a Tusk. Per Morawiecki, il Ppe è innanzitutto il nemico in casa, che spera di sconfiggere alla prima occasione. Per Meloni, il Ppe a livello nazionale è rappresentato da Forza Italia, il fedele alleato di governo, con cui va d’amore e d’accordo, anche per controbilanciare le pretese dell’altro alleato, la Lega, sempre più radicalizzato a destra e su posizioni anti europee. Questa situazione negli equilibri di potere nazionali è uno dei fattori più importanti della ‘moderazione’ e del pragmatismo mostrati da Meloni e dal suo Fdi sulle questioni europee, dove qualunque accento ideologicamente e radicalmente contrario all’Ue comporterebbe inevitabilmente uno scontro interno con Forza Italia, e imbarazzerebbe quest’ultima di fronte agli europei nel Ppe.


Ma c’è anche un altro elemento, non meno importante, che finora aveva stupito non pochi osservatori internazionali, di sincera evoluzione su posizioni più europeiste da parte di Fdi, riguardo al ruolo dell’Europa nel mondo. E’ l’applicazione logica e conseguente del principio di sussidiarietà, spesso evocato da Meloni e dai politici di Fdi, secondo cui gli Stati devono occuparsi delle questioni nazionali più vicine al loro livello di potere, mentre l’Ue dovrebbe avere tutto il margine necessario per agire laddove le ‘nazioni’ non possono farlo adeguatamente: in politica estera, nella sicurezza e difesa comune, nel commercio estero, nella cosiddetta ‘autonomia geostrategica’, che significa il controllo degli approvvigionamenti delle materie prime e delle catene del valore, e in sostanza in una vera e propria politica industriale europea che rafforzi la competitività delle imprese e ne riduca le dipendenze dai paesi terzi ‘non sicuri’, e che freni la ‘desertificazione industriale’ in atto in diversi comparti. Meloni e Fdi, ci era sembrato di capire, non vogliono che l’Europa, gigante economico come mercato, resti un nano politico a livello mondiale; anche perché in questo modo finisce, e sta finendo, per perdere rapidamente posizioni anche sul piano economico e di mercato. Forse avevamo capito male. Forse il nuovo ‘europeismo moderato’ di Fdi e di Giorgia Meloni era pura tattica, e non una nuova strategia politica. Questo sembra dire, in modo abbastanza chiaro, il ‘manifesto’ politico di Morawiecki, esposto alla stampa subito dopo la sua elezione alla presidenza dell’Ecr, martedì 14 gennaio; e lo hanno confermato anche i due politici più importanti di Fdi al Parlamento europeo, Carlo Fidanza, capodelegazione degli eurodeputati italiani (eletto anche vicepresidente del Partito europeo), e Nicola Procaccini, co-presidente del gruppo.


‘Non c’è differenza tra noi riguardo al diritto di veto in politica estera’, ha puntualizzato Fidanza durante la conferenza stampa di Morawiecki. Quindi se si presume questo – ha ribadito -, ‘non c’è differenza. Noi siamo d’accordo su questo punto’. Analoga, anche se più elaborata, è stata la risposta di Procaccini. ‘Come si fa – gli abbiamo chiesto – ad avere l’autonomia geostrategica e la potenza geopolitica dell’Europa se si mantiene il diritto di veto nella politica estera? Abbiamo visto che l’Europa rimane un nano politico quando c’è l’Ungheria che si oppone, per esempio, alle decisioni riguardanti le sanzioni contro la Russia’. ‘Per quanto riguarda il discorso del diritto di veto – ha risposto Procaccini -, intanto mi piacerebbe fare un riferimento storico su quante volte è stato posto il diritto di veto; o meglio, quante volte non si sia superato il diritto di veto. Non mi risulta che sia mai accaduto; mi risulta naturalmente che il fatto che una nazione possa porre il proprio veto su una decisione comune abbia favorito una discussione, certamente più lunga di quella che probabilmente ci sarebbe stata senza il veto. C’è stata una maggiore trattativa per arrivare a un compromesso certamente più difficile, più complicato, ma si è sempre raggiunto un compromesso’. ‘Ora – ha affermato il co-presidente del gruppo Ecr al Parlamento europeo, con una sua personale interpretazione della storia dell’integrazione comunitaria -, qui ci sono due modelli: uno è il modello originale dell’Unione europea, che è un modello confederale; e nel modello confederale il diritto di veto è garantito a tutti gli stati nazionali. Dall’altra parte, c’è un modello federalista, rispettabile, legittimo, che chiaramente non prevede il diritto di veto. Ma lasciatemi ribadire una volta ancora che non è il modello originale dell’Unione europea. L’Unione europea nasce come sistema confederale, e noi sosteniamo l’idea originale di Unione europea’. Non è chiaro a quali fonti storiche si riferisca Procaccini, per affermare che il ‘modello originale’ dell’integrazione europea sia quello confederale e non quello federalista. Com’è noto, alle origini dell’integrazione europea, dopo la seconda guerra mondiale, i due ‘modelli’ che si confrontarono furono quello federalista e quello funzionalista. Quest’ultimo ebbe la meglio, soprattutto dopo la bocciatura da parte del Parlamento francese della ratifica del Trattato (di carattere federale) sulla Comunità europea di difesa (Ced), nell’agosto del 1954. Ma i ‘funzionalisti’ come Jean Monnet e Robert Schuman (a cui si deve la fondazione della Ceca, la prima Comunità europea, quella del carbone e dell’acciaio) non erano contrari all’Europa federale: semplicemente, consideravano che era un traguardo finale, da raggiungere cominciando con la messa in comune ‘funzionale’ delle risorse economiche. Sapevamo che uno degli obiettivi politici più importanti di tutta la destra europea, e anche di una buona parte del Ppe (che il suo presidente, Manfred Weber, definisce ora chiaramente di centro-destra e non più di centro come è stato per decenni), è quello di fare marcia indietro su almeno alcuni obiettivi importanti del Green Deal, il piano strategico di trasformazione e crescita economica che era stato il programma principale e più caratterizzante della prima Commissione von der Leyen, cinque anni fa. Ma qui sembra che la retromarcia perorata dall’Ecr (compresa, a questo punto, la sua componente italiana) riguardi molto di più: i Conservatori di Morawiecki chiedono di tornare indietro niente meno che sullo stesso processo d’integrazione europea, con una rinazionalizzazione delle competenze e dei poteri ‘usurpati’ dall’Ue, e in particolare dall’odiata Commissione. E per fare questo, chiamano il Ppe ad allearsi con loro e con l’estrema destra nel Parlamento europeo. ‘Se c’è un’opzione per costruire una coalizione con il Ppe e con i Patrioti per l’Europa (il gruppo di estrema destra, ndr) su alcune cose importanti per noi, possiamo farlo’, ha sottolineato Morawiecki. ‘Oggi l’Ecr è al centro’ nello scacchiere politico europeo. ‘Alla nostra destra ci sono i ‘Patrioti’ e altri (i Sovranisti dell’Esn, ndr); alla nostra sinistra c’è il Ppe’. Insomma, ha concluso il presidente dell’Ecr, ‘il Ppe è ora a sinistra del centro. Questo è fattuale. Ma noi possiamo collaborare con tutti per il bene dell’Europa e per il bene degli stati membri dell’Europa’. Di Lorenzo Consoli e Alberto Ferrarese