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Tag: Sanremo 2023

Dati Cgia, Fedriga: il Friuli Venezia Giulia è locomotiva d’Italia

Dati Cgia, Fedriga: il Friuli Venezia Giulia è locomotiva d’ItaliaTrieste, 6 mag. (askanews) – “Il Friuli Venezia Giulia è diventata una locomotiva dell’economia nazionale: le proiezioni della Cgia di Mestre che indicano la nostra regione al primo posto nella classifica della crescita del Pil in Italia per il 2023 sono la conferma di un ruolo trainante”. Lo ha affermato il governatore Massimiliano Fedriga.

“Il percorso avviato in questi anni – ha rilevato Fedriga – non solo colloca il Friuli Venezia Giulia al vertice di una graduatoria di redditività e quindi di lavoro e di occupazione, ma comprova la solidità di un’economia testata da fasi di difficoltà internazionali senza precedenti, legate prima alla pandemia poi alla guerra. Lavoriamo in questo secondo mandato di legislatura regionale sul solco tracciato nel quinquennio precedente perché questa centralità del Friuli Venezia Giulia si rafforzi e diventi sempre più non solo di numeri assoluti ma di filiera entro il contesto industriale e finanziario nazionale, sfruttando le leve strategiche che abbiamo individuato nella logistica, nella ricerca e nell attrazione di investimenti”, ha concluso il governatore della Regione.

Michela Murgia e la malattia che lascia attonita l’Italia

Michela Murgia e la malattia che lascia attonita l’ItaliaRoma, 6 mag. (askanews) – Michela Murgia lo dice fin dall’inizio dell’intervista al Corriere della Sera con cui racconta ad Aldo Cazzullo di avere un tumore, “un carcinoma renale al quarto stadio; dal quarto stadio non si torna indietro”. Dice, dunque, di rifiutare “il registro bellico; parole come lotta, guerra, trincea… Il cancro è una malattia molto gentile. Il cancro non è una cosa che ho; è una cosa che sono. Non posso e non voglio fare guerra al mio corpo, a me stessa”. La retorica del ‘guerriero’, della ‘battaglia’, porta a pensare che chi muore non abbia lottato abbastanza, cosa tristemente falsa.

In ogni caso, la scrittrice spiega che una cura aggressiva “non avrebbe senso. Le metastasi sono già ai polmoni, alle ossa, al cervello”. E quindi segue una immunoterapia, per guadagnare quanti più mesi possibile. Ma c’è molto di più in questa intervista lucida e senza sconti, che ha lasciato attonita l’Italia e campeggia su tutti i social media. C’è una persona religiosa che dichiara la sua fede cristiana, ma insiste nel lottare per i diritti civili di tutti: quando racconta di aver comprato una casa “con dieci posti letto, dove stare tutti insieme, per la mia famiglia queer”; quando parla del suo ultimo romanzo, “Tre ciotole”, in cui racconta dall’esterno anche questa esperienza (“mi sono resa conto che la letteratura mi permette di dire cose meno assertive di un saggio; anche cose contrarie a quelle che penso”); e quando proclama il suo diritto di decidere fino in fondo della sua vita: “Posso sopportare molto dolore, ma non di non essere presente a me stessa. Chi mi vuole bene sa cosa deve fare. Sono sempre stata vicina ai radicali, a Marco Cappato”.

“Accabadora”, con cui vinse il Campiello, è la storia di una tradiziona antica della sua terra, la Sardegna, una storia di eutanasia. Murgia – che di Sardegna nell’intervista parla molto – ha risolto diversamente: “Ora mi sposo. Lo Stato alla fine vorrà un nome legale che prenda le decisioni”. Risplende la sua tagliente intelligenza anticonvenzionale: “Non ho mai creduto nella coppia, l’ho sempre considerata una relazione insufficiente. Lasciai un uomo dopo che mi disse che sognava di invecchiare con me in Svizzera in una villa sul lago. Una prospettiva tremenda”. Non avrebbe voluto morire all’improvviso, dice: “Il dolore non si può cancellare, il trauma sì. Si può gestire. Hai bisogno di tempo per abituare te stessa e le persone a te vicine al transito”. Non ha paura: “Ho cinquant’anni, ma ho vissuto dieci vite. Ho fatto cose che la stragrande maggioranza delle persone non fa in una vita intera”. Inclusi lavori difficili e sottopagati, dai call center al portierato notturno; vite di incontri multiculturali e di apertura alla diversità.

Murgia aveva già avuto un cancro, a un polmone, da cui pensava di essere guarita. Questa volta se ne è accorta tardi. Impossibile non pensare anche alla vita difficile che l’odio sui social ha riservato a questa intellettuale centrale nel dibattito italiano; troppo femminista, troppo caustica, troppo paradossale ed eccentrica per essere accettata. “Prima dell’arrivo di Elly Schlein mi sono trovata, con pochi altri scrittori come Roberto Saviano, a supplire all’assenza della sinistra, a difendere i diritti e le libertà nel dibattito pubblico. Il vomito l’ho vissuto, ma legato alla mia ostensione pubblica, all’essere diventata un bersaglio. Era la reazione per l’odio che ho avvertito nei miei confronti”. E adesso avrebbe un desiderio: “spero solo di morire quando Giorgia Meloni non sarà più presidente del Consiglio. Perché il suo è un governo fascista. Mi ritengo molto fortunata. Ho incontrato un sacco di persone meravigliose. Non è vero che il mondo è brutto; dipende da quale mondo ti fai. Quando avevo vent’anni ci chiedevamo se saremmo morti democristiani. Non importa se non avrò più molto tempo: l’importante per me ora è non morire fascista”. Meloni da parte sua ha reagito seccamente: “Non l’ho mai conosciuta e non ho mai condiviso le sue idee ma voglio mandarle un abbraccioà spero davvero che riesca a vedere il giorno in cui non sarò più Presidente del Consiglio perché punto a rimanere a fare il mio lavoro ancora per molto tempo”. Mentre sui social, dove tanto è stata attaccata, Murgia oggi è circondata di elogi al suo coraggio; chissà quanto durerà. (di Alessandra Quattrocchi)

Apre Casa Marcegaglia: un museo per celebrare storia e valori del gruppo

Apre Casa Marcegaglia: un museo per celebrare storia e valori del gruppoGazoldo degli Ippoliti (Mn), 6 mag. (askanews) – Apre Casa Marcegaglia, l’innovativo spazio museale e formativo realizzato per raccontare, attraverso esperienze immersive e installazioni interattive, la storia e i valori di Marcegaglia, gruppo industriale italiano leader mondiale nella trasformazione dell’acciaio, con un fatturato di 9 miliardi, 7mila dipendenti, 60 unità commerciali e 37 stabilimenti sparsi in 4 continenti. All’inaugurazione, presso lo stabilimento di Gazoldo degli Ippoliti – piccolo paesino del mantovano, storica sede del gruppo e ancora oggi suo quartier generale – presenti il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, e (in video-collegamento) il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso.

Il progetto vuole far emergere l’impresa nata dall’intraprendenza di un uomo, Steno Marcegaglia, capace di fare dell’azienda di famiglia, non solo un fiore all’occhiello del ;ade in Italy, ma una famiglia. Da qui, il nome scelto “Casa Marcegaglia”. La struttura museale permanente – realizzata su progetto architettonico di Vittorio Longheu e sviluppo espositivo di Studio Chiesa, mentre la curatela è stata affidata alla storica dell’arte Elisabetta Pozzetti – sorge su uno spazio di 1.300 metri quadrati e si sviluppa in diverse tappe tematiche, ciascuna delle quali animata da opere d’arte e dotata di installazioni interattive e spazi illustrativi multifunzionali. Attraverso un corridoio e una sala immersiva, si arriva al luogo più suggestivo ed emozionante: la stanza di Steno, il fondatore scomparso nel 2013. “Casa Marcegaglia – ha spiegato Antonio Marcegaglia, presidente e AD di Marcegaglia Steel – è la modalità con la quale vogliamo narrare e condividere con il territorio il percorso che l’azienda ha fatto, la nostra presenza economico-finanziaria, i nostri prodotti, le nostre tecnologie, ma anche il nostro settore, l’acciaio, e condividere i nostri valori che contraddistinguono la forza dell’azienda”. “Siamo onorati di festeggiare questa apertura – ha detto Emma Marcegaglia, presidente e AD di Marcegaglia Holding -, sono molto emozionata. Con mio fratello Antonio abbiamo deciso di fare qualcosa che rimanesse, che abbia un significato per noi, per le nostre persone, un qualcosa che rappresenti quello che ha fatto quella persona straordinaria che era mio padre. Con Casa Marcegaglia celebriamo la nostra storia, il nostro settore, ma soprattutto le persone”.

Con Casa Marcegaglia, prende il via anche Marcegaglia Academy, il progetto lanciato dal gruppo per la formazione manageriale delle nuove risorse, dei dipendenti e dei collaboratori interni e, in futuro, anche di possibili fruitori esterni: dai clienti ai fornitori, dai professionisti agli studenti. Direttore scientifico del Comitato Operativo, Paolo Boccardelli, docente di Management e Strategie d’Impresa presso la Luiss Guido Carli, dove ha ricoperto il ruolo di direttore della Business School. Il polo culturale di alta formazione è stato realizzato all’interno di Casa Marcegaglia, dove si colloca anche la biblioteca digitale, archivio storico e tecnico in continuo aggiornamento. I corsi coprono una pluralità di argomenti: da quelli più tecnico-specialistici a quelli legati al management e alla gestione del personale. I primi tre moduli – competenze tecniche di settore, dinamiche e fattori economici del siderurgico, conoscenza del gruppo e suo posizionamento competitivo – sono partiti a maggio. E’ in fase di preparazione anche il corso in economia circolare e Esg.

Meloni: tifo per Murgia, spero veda giorno in cui non sarò più premier

Meloni: tifo per Murgia, spero veda giorno in cui non sarò più premierRoma, 6 mag. (askanews) – “Apprendo da una sua lunga intervista che la scrittrice Michela Murgia è affetta da un bruttissimo male. Non l’ho mai conosciuta e non ho mai condiviso le sue idee, ma voglio mandarle un abbraccio e dirle che tifiamo per lei. E io spero davvero che lei riesca a vedere il giorno in cui non sarò più Presidente del Consiglio, come auspica, perché io punto a rimanere a fare il mio lavoro ancora per molto tempo. Forza Michela!”. Lo scrive su facebook la presidente del Consiglio Giorgia Meloni commentando l’intervista al Corriere della Sera in cui la scrittrice Michela Murgia fa sapere di avere un tumore al rene al quarto stadio, per cui le hanno diagnosticato “mesi di vita”.

Al post la presidente del Consiglio aggiunge una foto della Murgia con la scritta sovraimpressa “Forza Michela”.

L’epifania di Berlusconi: eccomi, sono qui per voi

L’epifania di Berlusconi: eccomi, sono qui per voiMilano, 6 mag. (askanews) – Il volto tirato, la voce che ogni tanto cede, le mani che cercano il tavolo. Silvio Berlusconi è provato, dopo la polmonite che da un mese lo costringe in ospedale, ma alla fine il video messaggio registrato ieri al San Raffaele per la convention di Milano dura ventuno minuti: uno sforzo che “dimostra la grandezza dell’uomo”, per dirla con le parole di Tajani. I concetti politici non sono innovativi, quello che conta è l’epifania del leader: “Eccomi, sono qui per voi”, è l’esordio per la platea in festa.

E subito racconta della degenza, con “la mia Marta che vegliava”, quando la notte si svegliava con la domanda “cosa ci faccio qui? Per cosa sto combattendo io qui?’”. E la risposta della compagna Fascina: “Siamo qui perché hai lavorato tanto, ti stai impegnando molto per salvare la nostra democrazia e la nostra libertà”. Un’epica che si estende alla fondazione di Forza Italia, alla decisione di scendere in campo per “salvare l’Italia dai comunisti”. Episodi già raccontati tante volte, ma stavolta il pathos è maggiore: “Voglio raccontare anche a voi quel che ho pensato e passato, anche se so che il farlo mi emozionerà davvero”.E l’emozione c’è, anche nella sala degli East End Studios dove Forza Italia si rilancia aggrappandosi ancora al fondatore: “Sapevo che un compito importante ci attende e mi attende. Per questo non mi sono mai fermato, neanche in queste settimane, ho lavorato alla nuova organizzazione del partito e per questo ora sono pronto a riprendere a lavorare con voi, a combattere con voi le nostre battaglie di libertà”.

Rivendicando il ruolo centrale nella coalizione: “Noi siamo il pilastro essenziale e leale di questa maggioranza, siamo la spina dorsale di questo Governo. Per questo siamo in campo, per far sì che le sue decisioni siano davvero corrette, giuste, equilibrate”, in un rapporto “leale e costruttivo con i nostri alleati, ai quali ci legano non soltanto un programma comune ma una vera e consolidata amicizia”.Un impegno che Berlusconi ancora non considera concluso: “Sarò con voi – promette – con lo stesso entusiasmo e lo stesso impegno del 1994, perché il futuro è delle nostre idee, il futuro ci deve garantire una vera e completa libertà”.

 

L’epifania di Berlusconi: eccomi, sono qui per voi

L’epifania di Berlusconi: eccomi, sono qui per voiMilano, 6 mag. (askanews) – Il volto tirato, la voce che ogni tanto cede, le mani che cercano il tavolo. Silvio Berlusconi è provato, dopo la polmonite che da un mese lo costringe in ospedale, ma alla fine il video messaggio registrato ieri al San Raffaele per la convention di Milano dura ventuno minuti: uno sforzo che “dimostra la grandezza dell’uomo”, per dirla con le parole di Tajani. I concetti politici non sono innovativi, quello che conta è l’epifania del leader: “Eccomi, sono qui per voi”, è l’esordio per la platea in festa.

E subito racconta della degenza, con “la mia Marta che vegliava”, quando la notte si svegliava con la domanda “cosa ci faccio qui? Per cosa sto combattendo io qui?’”. E la risposta della compagna Fascina: “Siamo qui perché hai lavorato tanto, ti stai impegnando molto per salvare la nostra democrazia e la nostra libertà”. Un’epica che si estende alla fondazione di Forza Italia, alla decisione di scendere in campo per “salvare l’Italia dai comunisti”. Episodi già raccontati tante volte, ma stavolta il pathos è maggiore: “Voglio raccontare anche a voi quel che ho pensato e passato, anche se so che il farlo mi emozionerà davvero”. E l’emozione c’è, anche nella sala degli East End Studios dove Forza Italia si rilancia aggrappandosi ancora al fondatore: “Sapevo che un compito importante ci attende e mi attende. Per questo non mi sono mai fermato, neanche in queste settimane, ho lavorato alla nuova organizzazione del partito e per questo ora sono pronto a riprendere a lavorare con voi, a combattere con voi le nostre battaglie di libertà”.

Rivendicando il ruolo centrale nella coalizione: “Noi siamo il pilastro essenziale e leale di questa maggioranza, siamo la spina dorsale di questo Governo. Per questo siamo in campo, per far sì che le sue decisioni siano davvero corrette, giuste, equilibrate”, in un rapporto “leale e costruttivo con i nostri alleati, ai quali ci legano non soltanto un programma comune ma una vera e consolidata amicizia”. Un impegno che Berlusconi ancora non considera concluso: “Sarò con voi – promette – con lo stesso entusiasmo e lo stesso impegno del 1994, perché il futuro è delle nostre idee, il futuro ci deve garantire una vera e completa libertà”.

L’Ucraina conferma di aver abbattuto un missile ipersonico russo

L’Ucraina conferma di aver abbattuto un missile ipersonico russoRoma, 6 mag. (askanews) – L’esercito ucraino ha confermato di aver abbattuto un missile ipersonico russo sopra Kiev utilizzando i sistemi di difesa americani Patriot recentemente acquisiti. Il 4 maggio, “intorno alle 2.30, un sistema di difesa aerea Patriot ha distrutto un missile aerobalistico Kh-47 ‘Kinzhal’ lanciato da un MiG-31K dalla Russia”, ha riferito l’esercito ucraino in un post su Telegram.

“Questa è la prima volta che ha luogo un’operazione del genere”, ha aggiunto l’esercito su Twitter. Il Kinzhal è una delle armi russe più nuove e avanzate. Secondo l’esercito di Mosca, questo missile balistico lanciato dall’aria ha una portata di 2mila chilometri e vola a una velocità dieci volte superiore a quella del suono, rendendone difficile l’intercettazione.

La combinazione di velocità ipersonica e testata pesante consente al Kinzhal di distruggere bersagli pesantemente fortificati, come bunker sotterranei o tunnel di montagna. Qualche settimana fa, l’esercito ucraino ha ricevuto i primi sistemi di difesa aerea Patriot americani. Washington si è impegnata a metà dicembre a fornire il sofisticato sistema di difesa aerea, mentre la Russia prendeva di mira le infrastrutture energetiche dell’Ucraina.

Congresso mondiale WFPHA, focus su conflitti e sanità pubblica

Congresso mondiale WFPHA, focus su conflitti e sanità pubblicaRoma, 6 mag. (askanews) – Le guerre non hanno un impatto solo locale; gli effetti devastanti hanno ripercussioni a livello mondiale. Le conseguenze globali delle guerre, oltre all’immane dolore per la perdita di vite umane, determinano crisi alimentari ed energetiche, speculazioni finanziaria che allargano asce di povertà, come dimostrato dal recente conflitto in Ucraina.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha riferito che quasi un quarto della popolazione mondiale, circa 1,8 miliardi di persone, risiede attualmente in regioni colpite da conflitti. Gli effetti negativi di tale circostanza sulla salute pubblica sono significativi. I conflitti provocano tassi di mortalità elevati, la rottura dei sistemi sociali ed economici, la scarsità di cibo, ripetute interruzioni dei servizi sanitari, il collasso delle catene di approvvigionamento medico, la fuga degli operatori sanitari e gravi focolai epidemici. Al 17° Congresso Mondiale di Sanità Pubblica (2-6 maggio, Roma), che vedrà la partecipazione della Prof.ssa Bettina Borisch, il direttore esecutivo del WFPHA, e del Dott. Wahid Majrooh, l’ex ministro afghano della Sanità pubblica, la guerra e i conflitti saranno un importante argomento di discussione durante una delle sessioni plenarie.

‘Oggi, in base al diritto umanitario internazionale, monitoriamo più di 110 conflitti armati. Alcuni di loro fanno notizia, altri no. Alcuni sono iniziati di recente, mentre altri durano da più di 50 anni. La guerra è un problema di salute pubblica causato dall’uomo e come tale è quindi prevenibile. La guerra e i conflitti armati hanno conseguenze devastanti per la salute fisica e mentale di tutte le persone coinvolte, per la vita sociale all’interno e nei dintorni delle regioni di guerra e per la salute dell’ambiente. La guerra sottrae risorse essenziali, spesso molto scarse e necessarie per la sopravvivenza. Inoltre, un gran numero di persone subisce l’impatto negativo degli effetti più ampi della guerra’, spiega la Prof.ssa Borisch, esperta di salute pubblica che ha proposto la sessione su guerra e salute globale. Le principali conseguenze dei conflitti armati:

– popolazione sfollata, che è parte integrante della guerra; – la guerra limita l’accesso all’acqua potabile, al cibo e ai servizi igienici, che sono alla base della salute pubblica; – durante i conflitti armati aumenta il rischio di malattie trasmissibili; – la guerra ha un impatto sulla salute delle donne e dei bambini: un recente studio ha rivelato che, nel 2017, almeno il 10% delle donne e il 16% dei bambini a livello globale erano sfollati a causa dei conflitti o vivevano pericolosamente vicino alle aree di conflitto, rendendoli suscettibili di aggressioni sessuali, matrimoni precoci, molestie, isolamento e sfruttamento. – Anche la salute mentale ne risente: le conseguenze psicologiche della guerra sono disastrose (il disturbo post-traumatico da stress (PTSD), l’ansia, la depressione e i disturbi somatoformi sono sempre più diffusi nelle situazioni di guerra e post-conflitto).

‘L’epigenetica ci ha insegnato che anche per le generazioni successive alla guerra le conseguenze sulla salute mentale sono presenti’, precisa il direttore esecutivo del WFPHA. L’impatto della guerra sulla sanità pubblica dell’Ucraina:

La guerra in Ucraina ha aumentato il bisogno di assistenza sanitaria, riducendo al contempo la capacità del sistema di fornire servizi, soprattutto nelle aree di conflitto attivo. In particolare, il sistema sanitario ucraino oggi deve far fronte a un numero crescente di pazienti feriti e politraumatizzati e a servizi sanitari che risentono della mancanza di manutenzione delle attrezzature mediche, della carenza di farmaci e forniture mediche e del personale insufficiente. La qualità delle cure varia da regione a regione.

Dato che la natura generale e l’impatto della guerra sulla salute e sul benessere delle società e dei sistemi sanitari sono abbastanza simili, il Dott. Wahid Majrooh fornisce un’analisi comparativa dei due contesti, di afghano e di quello ucraino.

‘Prima del conflitto il sistema sanitario ucraino era operativo e si trovava a un livello abbastanza buono, ma a causa del conflitto ci sono diversi impatti negativi di cui il sistema e le persone stanno soffrendo. C’è un’enorme divisione politica su come coordinare e soddisfare le esigenze sanitarie delle comunità e delle persone. Il rischio di una pandemia è ancora presente ma l’attenzione politica non sembra tenerne conto. In questa fase la priorità è la sicurezza, che prevale su altri bisogni umani compresa l’assistenza sanitaria. A differenza dell’Ucraina, in Afghanistan avevamo decenni di esperienza nella gestione delle emergenze sanitarie. La nostra esperienza sul campo ha dimostrato che la resilienza del capitale umano e la resilienza del sistema svolgono un ruolo cruciale. Ci vuole coraggio e un nuovo modo di pensare, di gestire le risorse e di offrire impegno più solidale’, spiega Majrooh.

L’OMS ha inviato all’Ucraina ingenti quantitativi di forniture mediche e ha stanziato 5,2 milioni di dollari dal suo Fondo di emergenza per rispondere alle urgenti necessità sanitarie del Paese. Ci sono molti altri programmi di donatori internazionali che mirano a raggiungere lo stesso obiettivo. Sono davvero in grado di risolvere tutti i problemi sopra citati?

‘La gente potrebbe dire che ci sono molte donazioni da parte di agenzie internazionali e Stati membri, ma il problema delle donazioni in un contesto del genere è che non sono allineate con l’agenda nazionale sulle politiche di salute pubblica e non colmano tutte le lacune. Ad esempio, in alcune aree, dove il conflitto è in corso, un numero enorme di donne e uomini è gravemente colpito dal punto di vista morale, psicologico. L’aiuto umanitario che si concentra sui bisogni urgenti (ad esempio, le malattie infettive, l’assistenza sanitaria d’emergenza e il trattamento delle vittime di guerra) non prende in considerazione le questioni sistematiche a lungo termine come l’assistenza mentale e l’assistenza alla maternità. Questo genera un sistema parallelo di risposte a quei bisogni e a medio termine tali elementi indeboliscono il sistema sanitario nazionale. Vengono create molte aspettative mentre il sistema statale non è in grado di sostenerle’, precisa il Dott. Majrooh.

L’ex ministro afghano della Sanità pubblica ritiene che, non essendoci previsioni ottimistiche sulla risoluzione del conflitto, le indicazioni di cui sopra inizieranno a peggiorare. Quanti anni ci vorranno perché la sanità ucraina riacquisti parametri qualitativi simili a quelli esistenti prima del conflitto?

‘Il problema del post-conflitto è la ricostruzione del sistema, compreso quello sanitario, perché non è solo il costo finanziario che conta, ma il tempo e il livello di fiducia che sono sfide davvero enormi da affrontare. Perché nelle nazioni che soffrono di conflitti prolungati, il tessuto sociale ne risente molto. Pertanto, se il conflitto continua, ci vorranno decenni prima che l’Ucraina risolva tutti questi problemi. Per esempio, noi abbiamo impiegato due decenni, ma non siamo ancora riusciti a soddisfare tutti i bisogni sanitari della nostra società’, stima il Dottor Majrooh.

Il documento costitutivo dell’OMS del 1948 afferma che: ‘La salute di tutti i popoli è una condizione fondamentale della pace e della sicurezza mondiale; essa dipende dalla più stretta cooperazione possibile tra gli individui e tra gli Stati’. Anche la Carta di Ottawa, a sua volta, considera la pace come il principale determinante della salute.

Quale ruolo devono svolgere i professionisti della salute pubblica nel contesto del conflitto armata?

Come suggerisce la Prof.ssa Bettina Borisch, i professionisti della salute pubblica devono svolgere un ruolo vitale in tempi di conflitto armato, sensibilizzando sulle conseguenze devastanti della guerra, sostenendo la pace e lavorando per prevenire i focolai di guerra e i loro esiti più gravi.

‘Le guerre sono evitabili e noi, come operatori della sanità pubblica, dobbiamo fare di tutto per raggiungere questo obiettivo. Il nostro compito migliore è quello di fare promozione per prevenire le malattie. Nel contesto della guerra e dei conflitti armati, dobbiamo agire contro le cause principali della guerra: l’iniquità, la povertà e l’iniqua distribuzione del potere, quindi è molto importante per gli operatori della sanità pubblica comprendere il contesto politico dei problemi che dobbiamo affrontare’, sottolinea la professoressa.

Salta in aria l’auto di Zakhar Prilepin, lo scrittore nazionalista russo è rimasto ferito

Salta in aria l’auto di Zakhar Prilepin, lo scrittore nazionalista russo è rimasto feritoRoma, 6 mag. (askanews) – Lo scrittore nazionalista russo Zakhar Prilepin, sostenitore dell’attacco del Cremlino in Ucraina, è rimasto ferito nell’esplosione della sua auto in Russia e un’altra persona è stata uccisa, hanno detto le autorità. “Secondo le prime informazioni, una persona è stata uccisa dall’esplosione e lo scrittore Zakhar Prilepin, che era in macchina, è rimasto ferito”, ha detto in un comunicato il servizio stampa del ministero dell’Interno, precisando che l’incidente è avvenuto a Nizhny, regione di Novgorod (centro-ovest)

Secondo il comitato investigativo, Zakhar Prilepin era nella sua macchina “con la sua famiglia” quando è avvenuta l’esplosione. Fonti anonime mediche e di sicurezza, citate dalle agenzie di stampa russe, affermano che lo scrittore è stato ferito alle gambe.La Russia ha accusato Stati Uniti, Nato e Ucraina di aver fomentato un attacco “terroristico” contro lo scrittore ultranazionalista Zakhar Prilepin, ferito in Russia nell’esplosione della sua auto, esplosione che ha inoltre provocato un morto.

“Washington, insieme alla Nato, ha alimentato una nuova cellula del terrorismo internazionale: il regime di Kiev”, ha denunciato
la portavoce della diplomazia russa, Maria Zakharova, su Telegram, “Responsabilità diretta di Stati Uniti e Gran Bretagna. Preghiamo per Zakhar”. 

Sanità, Fadoi: 52% medici in burnout, 1 su 2 pensa di licenziarsi

Sanità, Fadoi: 52% medici in burnout, 1 su 2 pensa di licenziarsiRoma, 6 mag. (askanews) – Depressi, stressati e in perenne carenza di sonno per orari di lavoro che vanno ben oltre il lecito, carichi di lavoro impossibili da gestire. Il tutto aggravato da mancanza di riconoscimento del valore di quanto con competenza professionale si fa, un numero di pazienti per medici e posti letto che rende quasi impossibile instaurare un rapporto empatico con i pazienti e la burocrazia che rende tutto ancora più difficile. C’è questo e di più in quello che in gergo tecnico si definisce “Sindrome da burnout”, quell’insieme di sintomi determinati da uno stato di stress permanente con il quale devono vivere il proprio lavoro il 52% dei medici e il 45% degli infermieri che prestano la loro opera nei reparti ospedalieri di medicina interna. Quelli che da soli assorbono un quinto di tutti i ricoveri in Italia. Una minaccia per la loro salute ma anche per quella degli assistiti, visto che lavorare quando si è in burnout significa alzare di molto le possibilità di commettere un errore sanitario, che in Italia sarebbero circa 100mila l’anno.

A fornire la fotografia di medici e infermieri “sull’orlo di una crisi di nervi” è la survey condotta da Fadoi, la Federazione dei medici internisti ospedalieri, su un campione rappresentativo di oltre duemila professionisti sanitari e presentata a Milano al 28° Congresso Nazionale della Federazione. In totale a dichiararsi in “burnout” è il 49,6% del campione ma la percentuale sale al 52% quando si parla di medici, per ridiscendere al 45% nel caso degli infermieri. E in entrambi i casi l’incidenza è più del doppio tra le donne, dove permane la difficoltà di coniugare il tempo di lavoro con quello assorbito dai figli e la famiglia in genere. Anche se poi c’è un inedito e positivo rovescio della medaglia, costituito dalla larga maggioranza di medici e infermieri ancora gratificati dal proprio lavoro e dal rapporto con i pazienti.

Ad influire sullo stato di stress cronico è anche il fattore età, visto che sotto i trent’anni la percentuale di chi è in burnout cala al 30,5%. Fatto è che proiettando i dati più che significativi delle medicine interne sull’universo mondo dei professionisti della nostra sanità pubblica abbiamo oltre 56mila medici e 125.500 infermieri che lavorano in burnout. E che per questo motivo incappano in qualche inevitabile errore. Uno studio condotto dalla Johns Hopkins University School of Medicine e dalla Mayo Clinic del Minnesota ha rilevato almeno un errore grave nel corso dell’anno nel 36% dei camici bianchi in burnout. Percentuale che proiettata sul totale dei nostri medici da un totale di oltre 20mila errori gravi. Discorso analogo per gli infermieri. Qui una serie di studi internazionali raccolti dalla Fnopi, la Federazione degli ordini infermieristici, stima siano addirittura il 57% gli errori clinici più o meno gravi commessi nell’arco di un anno. Dato che applicato sul numero degli infermieri pubblici operanti in Italia in burnout da altri 71.500 errori in fase di assistenza per un totale di almeno di 92mila, sicuramente qualcuno in più considerando che uno stesso operatore può essere incappato in più di un errore nel corso dell’anno.

Lavorare sotto stress fa male agli assistiti ma anche a chi ce l’ha. “L’influenza del burnout sulle malattie professionali è un fatto oramai acclarato dalla letteratura scientifica”, afferma Francesco Dentali, Presidente Fadoi. “Il rischio di infarto del miocardio e di altri eventi avversi coronarici è infatti circa due volte e mezzo superiore in chi è in burnout, mentre le minacce di aborto vanno dal 20% quando l’orario di lavoro non supera le 40 ore settimanali salendo via via al 35% quando si arriva a farne 70. Evento sempre meno raro con il cronico sottodimensionamento delle piante organiche ospedaliere”, aggiunge Dentali. Che lavorando a ritmi e condizioni spesso insostenibili si finisca alla fine per somatizzare lo dimostra il fatto che il 61% de medici testati da Fadoi conclude la sua giornata lavorativa sentendosi “emotivamente sfinito”. Percentuale che scende al 48,4% tra gli infermieri.

Quasi il 50% di medici e infermieri in burnout pensa di licenziarsi entro l’anno. E il problema si fa ancora più sentire quando si ricopre un ruolo di responsabilità. Tra i coordinatori infermieristici il 45% è infatti in burnout e la stessa percentuale pensa di licenziarsi entro l’anno, lasciando così ancora più sguarnita la trincea del pubblico, magari per andare a rinforzare quella del privato o di qualche altro Paese, dove le retribuzioni arrivano ad essere anche il doppio di quelle del nostro Ssn. Senso di frustrazione, sensazione di non riuscire ad andare avanti e senso di colpa per avere dovuto trascurare qualche paziente sono tra i sentimenti più ricorrenti tra i coordinatori infermieristici.

Percentuali appena più basse si rilavano tra i coordinatori medici, dove in burnout è il 31,8%, mentre la percentuale di chi pensa di licenziarsi entro l’anno è del 47,4%. Qui a sentirsi “emotivamente sfinito” è l’80% del campione, mentre il senso di frustrazione accompagna il 60% di loro e il 70% sente di non poter assolvere adeguatamente ai propri compiti. Percentuali simili a quelle rilevate per i medici in corsia, dove però scende al 53% la sensazione di trattare adeguatamente in modo troppo impersonale i propri pazienti.

Il risvolto positivo della medaglia: professionisti sanitari ancora motivati e gratificati dal loro lavoro.

La ricerca Fadoi contiene però anche un positivo e inedito rovescio della medaglia. Nonostante le difficili se non impossibili condizioni di lavoro e il risvolto che queste hanno su psiche e salute dei professionisti sanitari, tanto la stragrande maggioranza dei medici che quella degli infermieri “sente di aver affrontato efficacemente i problemi dei propri pazienti” e di “aver realizzato molte cose nel corso della propria attività lavorativa”. Mentre nello specifico l’84% dei camici i bianchi “crede di influenzare positivamente la vita delle altre persone con il proprio lavoro” e nel 73% dei casi si sente “rallegrata dopo aver lavorato con i propri pazienti”.

“E’ proprio da questo senso di attaccamento alla propria mission e dalla realizzazione di se in un lavoro che nonostante tutto e tutti salva vite e aggiunge qualità agli anni di ciascuno che bisogna ripartire se veramente si ha a cuore il destino della nostra sanità pubblica”, commenta Dentali. “E per farlo occorre rendere nuovamente attrattive tra i giovani tanto la professione medica che quelle infermieristica. Portando a un livello di dignità professionale retribuzioni che sono tra le più basse d’Europa, ma riqualificando anche formazione e condizioni lavorative”, conclude il Presidente Fadoi.

“Il lavoro sanitario ai tempi del burnout nuoce tanto alla salute dei cittadini che a quella di medici e infermieri”, commenta a sua volta il presidente della Fondazione Fadoi, Dario Manfellotto. “Un problema -prosegue- tanto più sentito nei reparti di medicina interna, che una anacronistica e vetusta classificazione ministeriale con il codice 26 definisce ancora a bassa intensità di cura, quando basta scorrere l’elenco delle cartelle cliniche per capire che i nostri sono pazienti complessi che necessitano di medio-alta intensità di cura”. “Un problema che sembra di natura burocratico-amministrativa m che in realtà si traduce in una sotto dotazione sia in termini di organico che di tecnologia”, conclude Manfellotto. Che chiede di “ridefinire gli standard di personale sanitario ancora vincolati a un vecchio decreto emesso da Donat Cattin”.