Francesco Moser: per me più facile correre in bici che fare il vino
Francesco Moser: per me più facile correre in bici che fare il vinoMilano, 8 feb. (askanews) – “Per me era molto più facile correre in bici che fare il vino, in bici riuscivo a far bene o meglio di tutti, invece nel vino c’è una concorrenza troppo forte in giro per il mondo, e poi, per una ragione o per l’altra, non sai mai chi arriva primo mentre nelle corse si vede chi arriva primo”. A parlare, con grande ironia, è Francesco Moser, leggenda del ciclismo, che nel 1979 ha fondato in Valle di Cembra in Trentino (terra di origine della famiglia), l’azienda vinicola Moser, oggi guidata dal figlio Carlo e dal nipote Matteo, come quasi tutti i maschi della famiglia cresciuti anche loro tra vigne e pedali.
Ad un incontro a Milano per presentare il “Blauen – Blanc de Noirs 2015”, un Trentodoc Extra Brut affinato per 72 mesi sui lieviti, l’ex campione, oggi 71enne, ha ricordato che “noi ci siamo fatti le ossa lavorando nei campi e oggi a casa a Palù di Giovo (Trento) abbiamo ancora un torchio a mano, che quando era periodo di vendemmia veniva usato giorno e notte dai contadini della zona, perché di macchinari così in giro ce ne erano pochi”. “In Valle di Cembra quasi tutte le famiglie hanno un fazzoletto di terra e coltivano la vigna, e anche chi conferisce le uve si fa il suo vino” ha spiegato il 38enne Carlo Moser, che segue la gestione amministrativa e commerciale di questa consolidata realtà che produce complessivamente 150mila bottiglie, di cui 80mila di quattro spumanti Trentodoc, e le rimanenti della linea “Warth”, costituita da quattro bianchi e tre rossi fermi.
“Il primo spumante lo abbiamo fatto nel 1984 su suggerimento di un amico, Francesco Spagnoli, che era preside dell’Istituto agrario – ha precisato Francesco Moser – e lo chiamammo ‘51,151’, il tempo del record dell’ora di ciclismo che feci a Città del Messico nel 1984”. Da allora, la Cantina ha fatto molta strada e lo dimostra proprio l’ultimo nato “Blauen”, elegante bolla “sboccata” nel marzo 2022 e prodotta in circa tremila bottiglie. Il nome è nato per scherzo da “An der schonen blauen Donau” (“Sul bel Danubio blu”, ndr), titolo di un celebre valzer di Johann Strauss, ed è stato scelto dal 42enne Matteo Moser, enologo e agronomo della cantina, a cui piaceva l’assonanza con “Blauburgunder” (termine tedesco per Pinot Nero).
“Il mio pensiero di fondo è dare una continuità e uno stile molto ben definito ai nostri vini e in questo ci aiuta il fatto di essere noi a lavorare i nostri vigneti e a gestire l’intero processo produttivo” ha spiegato Matteo, ricordando che le uve provengono “da due vigneti di Pinot Nero che sorgono su una collina che noi chiamiamo Dòs dei cedri, entrambi a pergola trentina: una forma di allevamento bistrattata per anni ma che ora, con il cambiamento climatico, sta tornando”. “Questo Blanc de Noirs 2015 ha aggiunto Carlo – è frutto della nostra esperienza di oltre trent’anni nella spumantistica e di una meticolosa ed instancabile dedizione, sia in vigna che nei lunghi anni di affinamento in cantina”.
“Nel 1988, anno in cui ho smesso di correre, ho comperato il Maso Warth che è circondato dalle vigne la maggior parte delle quali erano di Schiava, poi c’erano un po’ di Chardonnay, Lagrein, Moscato e Pinot Nero, i cui ultimi filari li abbiamo tagliati quest’anno” ha aggiunto Francesco (ancora oggi il ciclista italiano con il maggior numero di successi), evidenziando che “l’operazione di sostituzione delle piante vecchie con le nuove iniziata negli anni Novanta è ora conclusa”. La proprietà del maso è di quasi trenta ettari ma la superficie vitata non supera i 13, a cui si aggiungono più o meno altri sette ettari in zone vicine. Anche se non ancora certificata, la coltivazione è quasi interamente biologica, e il maso è riscaldato a biomassa e ha un impianto fotovoltaico che copre il 60% dell’energia elettrica consumata. L’azienda, il cui dipendenti hanno un’età media sotto i 30 anni, ha dichiarato di aver chiuso il 2022 con i medesimi volumi del 2021 ma con una crescita di fatturato dell’8%, mentre l’export è ancora una voce marginale perché riguarda circa il 10% delle bottiglie vendute, di cui la metà sono bollicine.